584 accessi agli spazi #quindicinventiquattro di Lecco e Merate dal 2019 al 2021, di cui 272 ragazzi presi in carico
Ragazzi alle prese con ansia, timori e paure sul futuro: “L’autolesionismo, il dolore più grande di questa pandemia”
MERATE – “E’ il momento di esserci, di essere insieme dentro una comunità di adulti perché abbiamo capito che quando apriamo una porta i ragazzi arrivano e non sono così inaccessibili come li vogliamo dipingere”. E’ il messaggio forte e diritto, intriso di consapevolezza e allo stesso tempo di speranza, lanciato da Carmen Baldi, psicologa di Asst Lecco intervenuta insieme alla collega Roberta Invernizzi all’incontro “Riorganizzare la speranza. Adolescenti e giovani oltre la pandemia” promosso dall’associazione Dietro la Lavagna.
Secondo appuntamento della mini rassegna Sos Adolescenti organizzata dal sodalizio meratese per fare luce sulle difficoltà vissute dai giovani e acutizzate dall’emergenza pandemica, l’incontro si è svolto ieri sera, giovedì, in auditorium comunale alla presenza di un pubblico attento e curioso, formato in gran parte da genitori, insegnanti e addetti ai lavori.
Patrizia Riva, a nome di Dietro la lavagna, ha portato in sala la “preoccupazione di fronte al disagio dei giovani a cui non possiamo restare indifferenti” mentre l’assessore al Welfare Franca Maggioni ha voluto porre l’attenzione su un servizio, quello dello spazio #quindiciventiquattro, che è stato poi posto sotto i riflettori delle due esperte. Attivato prima a Lecco in collaborazione con l’Informagiovani e poi a Merate in sinergia con Piazza L’idea negli spazi della depandance di villa Confalonieri, il servizio è nato poco prima che l’emergenza Covid stravolgesse la quotidianità di tutti noi.
“Possiamo dire che è un progetto nato giusto in tempo con l’obiettivo di intercettare il disagio degli adolescenti e giovani adulti prima che si organizzi in una psicopatologia vera e propria o in una dipendenza” ha esordito Baldi, sottolineando il metodo con cui è stata compiuta questa operazione. “Di fronte a un disagio complesso e che spesso assume forme espressive diverse, abbiamo deciso di lavorare in equipe avvalendoci del servizio di diversi specialisti, afferenti alla neuropsichiatria, al Cps, al Consultorio e al Sert”. Non solo. Per intercettare i ragazzi è stato fondamentale trovare un luogo neutro, tale da non venire connotato o etichettato: “Abbiamo pensato a spazi dove i ragazzi possono transitare per esigenze di vita, come l’informagiovani o piazza l’idea a Merate”.
301 accessi solo nel 2021
E la chiave di volta si è rivelata vincente con 584 accessi, tra Lecco e Merate, dal 2019 al 2021, di cui 272 ragazzi presi in carico. Nell’ultimo anno, gli effetti della pandemia hanno colpito duro facendo registrare un aumento delle richieste (301 in totale), pari al 129%.
“Nell’anno appena chiuso abbiamo intercettato 70 ragazzi con un disturbo mentale conclamato. Giovani quindi che stavano già molto male e che sono stati riorientati verso il Cps o la neuropsichiatria”. A colpire è stata anche la modalità con cui i ragazzi hanno varcato la porta di #quindiciventiquattro: “Abbiamo avuto delle autocandidature nel 70% dei casi. Ragazzi e ragazze che ci scrivevano mail mettendo subito nero su bianco le proprie difficoltà e chiedendo una possibilità di ascolto”. Una spontaneità che è giunta quasi inaspettata: “Abbiamo assistito a un grande movimento di richieste e di passaparola tra ragazzi con un effetto grappolo tra amici, fratelli e conoscenti. Certo i numeri alti registrati ci fanno preoccupare, ma l’accesso spontaneo testimonia che i giovani nutrono ancora la speranza che gli adulti li possano aiutare. Insomma, dove c’è una porta aperta, i ragazzi arrivano e la scuola si dimostra un gran canale”. Già la scuola, l’istituzione che forse più di tutte le altre è stata chiamata a rinnovarsi ogni giorno trovando forme e modi per non ridurre il tutto all’assolvimento della mera didattica.
“L’autolesionismo, il dolore più grande di questa pandemia”
“Pensavamo che ai ragazzi bastasse la rete, invece la pandemia ha reso evidente che oltre alla rete serve la relazione” ha aggiunto la dottoressa Invernizzi, parlando di come, in un mondo reso sempre più virtuale dalle distanze fisiche poste dal virus, il corpo sia diventata la valvola su cui scaricare il proprio disagio, la propria tristezza e la propria frustrazione. “L’autolesionismo è il dolore più grande che abbiamo toccato con mano in questa pandemia. In uno studio condotto di recente dall’università Cattolica insieme a Soleterre basandosi su un campione di 150 adolescenti tra i 14 e i 19 anni, è emerso che il 64% pensa che se questo vento non fosse accaduto, oggi sarebbe una persona diversa mentre il 69% il Covid è diventato parte della propria identità”. E ha aggiunto: “Con la pandemia la geografia degli spazi di crescita è cambiata tra casa e computer”.
Il secondo lockdown e il “tramonto” delle speranze
E così il corpo, chiuso tra quattro mura, è diventato il “mezzo” del dolore con episodi di autolesionismo, il pensiero della morte volontaria, i disturbi del comportamento alimentare e il ritiro sociale per rendersi invisibili al mondo. Un’uscita di scena volontaria registrata anche nella scuola, dove il fenomeno ha iniziato a interessare anche le ragazze, di solito “esenti” dall’abbandono scolastico. Inutile dire che, tra il 2020 e il 2021, i fenomeni si sono acutizzati: “Tra il primo e secondo lockdown abbiamo assistito a una vulnerabilità che è diventata sempre maggiore e a un crollo della speranza”.
Ragazzi sopravvissuti
Niente più cantate sui balconi, niente più arcobaleni colorati con scritto andrà tutto bene. Se l’uscita dal primo lockdown aveva regalato forza e consapevolezza nelle proprie risorse, il ritorno dei contagi, dell’Italia colorata a zone, della scuola a singhiozzo tra presenza e didattica a distanza, ha disorientato e fatto perdere fiducia nel futuro. Anche a #quindiciventiquattro sono aumentate le richieste: problemi familiari, ansia, problemi relazioni, autostima, ritiro sociale le motivazioni. E anche l’essere dei sopravvissuti alla morte o al suicidio di amici, genitori o conoscenti. “Ci siamo dovuti dedicare anche al postvention facendo una grossa quota di lavoro sui fattori di rischio perché le esperienze traumatiche possono rappresentare fattori di rischio per i problemi mentali” ha aggiunto Baldi.
Costruire una nuova speranza
L’obiettivo ora è ridare speranza, riconsegnare un futuro a chi ha messo nero su bianco, nella mail inviate a #quindiciventiquattro, di sentirsi sempre in “modalità aereo”, così da non ricevere né inviare comunicazioni al mondo fuori.
“Dobbiamo riuscire a costruire nuovi percorsi che siano concreti e fattibili con creatività. È il momento di esserci, lasciando andare il pregiudizio che i ragazzi siano inaccessibili. Dobbiamo fare in modo che i ragazzi si riappropino della loro sicurezza, ricordando il grande ruolo sociale della scuola”. Il che vuol dire anche entrare in classe, partecipare alla stesura del giornalino dell’istituto oppure dare vita a atelier e laboratori artistici per dare modo all’arte di incanalare e indirizzare al bello le proprie emozioni. “Grazie a Dietro La Lavagna potremo finanziare 10 sedute di gruppo di un percorso di danza terapia, un ottimo modo per riappropriarsi del proprio corpo. Speriamo di riuscire a proporre anche altri laboratori in una cordata educativa in cui ognuno dovrà svolgere la sua parte”.
In questo grande enorme lavoro di ascolto e incontro del disagio giovanile, non è mai entrato in gioco l’uso di sostanze. “E’ il grande assente perché i ragazzi non lo percepiscono come un problema, ma come un aspetto piacevole. Dai nostri sondaggi informali, il 19% ha però ammesso di fare uso di alcool, il 16 di cannabis, il 3% di altro mentre il 62% ha detto di non fare uso. Eppure sappiamo che il consumo di sostanze stupefacenti è un gran problema, che dovremo intercettare a sua volta”.