Leggermente. Sala Ticozzi colma per la ‘lectio’ di Umberto Galimberti

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“Non solo parole. Il linguaggio delle emozioni” ne parla Umberto Galimberti a Leggermente

Grande risposta di pubblico per l’incontro con il filosofo che solo qualche giorno fa ha festeggiato 80 anni

LECCO – “Le emozioni sono una terra quasi sconosciuta, da alcuni sono valutate ed elogiate: se un film non vi emoziona non è bello, se un libro non vi emoziona lo mettete da parte. Altri ci mettono in guardia da esse, perché chi si comporta su base emotiva diventa un personaggio pericoloso. Quindi c’è molta ambiguità di giudizio sulle emozioni”.

E’ Umberto Galimberti a parlarne, ospite domenica del festival Leggermente. Il filosofo, che il 2 maggio scorso ha festeggiato il suo 80esimo compleanno, è stata una delle presenze più importanti alla rassegna lecchese sulla lettura già nelle precedenti edizioni e anche quest’anno l’appuntamento che lo ha visto protagonista ha conosciuto ancora una volta una grande risposta da parte dei lecchesi.

La Sala Ticozzi, dove si è svolto l’appuntamento, era colma di pubblico che si è prenotato per tempo il proprio posto in sala. “Non solo parole. Il linguaggio delle emozioni” è il titolo della lectio tenuta da Galimberti a Lecco.

Le emozioni, dunque, “radicate nella parte più antica del nostro cervello, sfuggono alla razionalità e hanno effetti sul nostro vissuto, sui nostri legami sociali. Sono una reazione affettiva, un moto dell’affettività – ha spiegato Galimberti – ci vuole una preparazione per avere un’emozione e sono di breve durata. Sono una risposta ad uno stimolo del mondo reale, come un pericolo che ci mette paura, oppure della nostra mente, come un ricordo che ci fa piangere”.

E’ importante saperle distinguere le emozioni e soprattutto chiamarle con il proprio nome: “Del Covid, per esempio, non avevamo paura ma angoscia. La paura è un meccanismo di difesa verso un oggetto determinato, ma non potevamo difenderci dal virus, chiunque ai nostri occhi poteva esserne portatore e non vi era modo di sconfiggerlo. I bambini non hanno paura, non sentono pericolo e per questo sono costantemente da accudire per evitare che si facciano del male. Ma provano angoscia quando, a letto, la mamma spegne la luce prima che possano addormentarsi. Piangono perché, al buio, non hanno più un riferimento noto su cui fare affidamento. Anche gli adulti provano angoscia ma non sanno dire per cosa nello specifico, piuttosto dicono di esserlo per tutto”.

Il filosofo ha passato in rassegna anche la gelosia e il disgusto, emozioni antiche legate alla riproduttività la prima e alla ricerca del cibo la seconda, il riso e il pianto, “che sono la stessa cosa per la neurologia perché impegnano la stessa parte di sistema nervoso” ma che sono ovviamente “molto diversi nel loro significato”.

Un viaggio nelle emozioni che dall’antichità arriva ai giorni nostri con le cosiddette ’emoticon’ delle chat di telefonia “che sono come i disegni degli uomini preistorici – ha rimarcato Galimberti – siamo tornati indietro per esprimere delle emozioni, perché non sappiamo più usare il linguaggio. Abbiamo fatto una regressione”.

Passando dall’homo sapiens all’homo vides  – ha concluso Galimberti – abbiamo perso molte cose, perché la lettura implica una visione sequenziale, il cervello deve tradurre le parole in immagini, l’intelligenza della visione è invece simultanea. Se l’immagine è già davanti ai nostri occhi, il cervello viene esonerato. Così diventiamo stupidi, non frequentiamo più la lettura, leggiamo ma senza capire”.

 

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