LECCO – “In questa burrascosa temperie politica, per la quale è bene non azzardare previsioni perché legata a categorie desuete e a prassi sconosciute, c’è un tema che torna puntualmente quando, per fortuna, si passa dalla logica degli schieramenti ai programmi.
La parola che voglio sottolineare è ‘lavoro’, nella sua piena accezione e nelle sue declinazioni legate alla stagione che stiamo vivendo. Non è questa la sede per discutere ricette, ma semmai per riaccendere la tensione sul tema cardine dello sviluppo economico del nostro Paese e insieme sul delicatissimo passaggio delle ingiustizie sociali.
E nell’inquietudine che permane, figlia di una crisi che ancora morde e che vede larghe fasce di popolazione (donne, cittadini di mezz’età e soprattutto giovani) a diverso titolo segnati nella loro vita da una sorta di precariato presente e futuro. Ne parlo da una città e da un territorio che ha fatto della cultura del lavoro il cardine del proprio impianto sociale, economico e civile. Qui si è lavorato sodo, si sono messe le basi per consegnare il benessere a stati sociali i più vasti possibili. L’imprenditore e l’operaio a remare sulla stessa barca e, con la fatica e l’ingegno, traguardare comuni orizzonti. E’ inutile l’esercizio di chi pesca nel passato per umiliare il presente e per raffronto ormai improponibili.
Certamente resta una genetica del lavoro che qui più che altrove permea le attuali generazioni. I rapporti sociali, le relazioni tra le istituzioni, le forze economiche, il sindacato, sono profondamente mutati e se non si colgono le differenze non si riuscirà a elaborare una nuova cultura del lavoro.
Il posto fisso del passato non è più il presidio dall’incertezza e lo scudo per affrontare la vita. In altri Paesi, mediamente un individuo cambia mestiere anche quattro volte nella vita: è un modello a noi lontano e non è detto che sia un valore aggiunto, ma di sicuro ci si deve muovere in ottica di duttilità che vada di pari passo con le profonde metamorfosi del nostro tempo e la necessità di nuovi strumenti di tutela. Accanto ai temi tradizionali che vanno doverosamente ricordati nella Festa del 1° Maggio – penso su tutti alla sicurezza sul lavoro, con i numeri diramati dai Sindacati che riferiscono di 3.600 infortuni sul lavoro nella nostra provincia nel 2017 e cinque incidenti mortali – dico che due categorie si debbano fondere per poter guardare con moderato ottimismo agli anni a venire: la dignità e la solidarietà. Se manca una di queste componenti significa che abbiamo preso la scorciatoia sbagliata e che la strada maestra è ancora un’utopia, mentre se il nostro approccio non sarà egoistico, forse anche queste amare stagioni non saranno trascorse inutilmente.”
Virginio Brivio