In questi ultimi anni profonde mutazioni hanno attraversato il mondo della scuola. Un tema che spesso preoccupa le famiglie è quello legato al cambiamento da un ordine all’altro. Il passaggio dalle elementari alle medie e poi quello dalle medie alla scuole superiori è sovente frutto di incertezza e ansia.
E’ questo un tema e una paura relativamente moderna, legata in qualche modo alla contemporaneità.
Occorre notare come questo timore del cambiamento sia paradossale in una società sempre più abituata a correre, alle mutazioni continue. E’ una corsa frenetica ad ostacoli, senza sosta. Tuttavia questo cambiamento continuo si indirizza poi nella continuità della meta finale di questa corsa. La ricerca di oggetti sempre nuovi, di sensazioni sempre più forti, sempre più elementari, da assorbire, inglobare, prosciugare. E questa è un strada che sembra senza uscita, Pasolini in un intervista che si trova su internet (intervista a Sabaudia) diceva in tono quasi profetico “è come svegliarsi da un incubo e scoprire che tutto è definitivo”.
Tutta questa corsa, questa tensione a prosciugare gli oggetti, chiaramente incrocia la strada dei bambini, dei giovani che per di più in questa centrifuga ci sono entrati da subito. Loro sono entrati nel mondo quando le regole del gioco erano già queste.
Il rapporto con la scuola chiaramente ne risente. Si va a scuola in fretta, si studia di fretta, ci si stufa di ogni cosa, di ogni compito in fretta, ma soprattutto si ha l’impressione che si cresca in fretta. Mi è capitato spesso di proporre giochi della mia infanzia a mio figlio accorgendomi di essere fuori tempo. Fuori tempo massimo rispetto a una sua presunta maturazione sicuramente, fuori tempo rispetto alla velocità della società.
Un altro dato legato alla contemporaneità è quello che i passaggi all’interno della scuola sono sempre men strutturati, formalizzati rispetto al passato. Ad esempio io ho fatto l’esame in seconda elementare e poi in quinta. Oggi queste cose non ci sono più e questa mancanza di ritualità comporta il fatto che il cambiamento sia meno simbolizzato, meno formalizzato e quindi muova una serie di domande di paure di ansie. Prima le paure erano focalizzate, puntate su un evento critico, l’esame, che chiaramente convogliava ansie ma che anche mostrava in modo “patente”, il segno di un passaggio, di un cambiamento, del passaggio ad una “vita nova”. Oggi l’ansia del cambiamento si spalma su tempi più lunghi, generando quella che un ospite della comunità dove facevo l’educatore definiva “una continua sofferenza leggera”.
Nella mia esperienza di padre – ma anche di educatore che lavora con i bambini- ho notato come da un punto di vista fenomenologico ad ogni cambiamento di scuola, aumentino il numero delle assenze per malattie. A partire dalle forche caudine della scuola dell’infanzia, dove il primo anno uno fa più assenze che presenze; il fenomeno si ripresenta in prima elementare, in prima media. E’ come se il cambiamento di grado di scuola avesse un effetto anche sul corpo. Sarebbe interessante raccogliere dei dati su questa cosa per poi ragionarci.
La mia impressione è che questa presa diretta sul corpo sia inversamente proporzionale alla mancanza di simbolizzazione e direttamente proporzionale alla numero di novità inserite in questo cambiamento. Ad esempio il passaggio dalle elementari alle medie comporta un rapporto differente con le figure educative. Semplificando in modo brutale e semplicistico si passa da un approccio più materno ad uno paterno, da uno basato sulla comprensione ad un sulla prestazione. E questo non riguarda solo quello che accade nelle ore di lezione o nei compiti…. C’è uno stacco globale a livello della ricerca della prestazione.
Basti pensare al mondo dello sport. Diviso in compartimenti stagni. Ad ogni stacco di crescita corrisponde una maggiore richiesta di prestazione, di agonismo. Io alleno dei bambini, provo ad insegnare loro i rudimenti della pallacanestro. Ho dovuto chiedere ospitalità ad una scuola “illuminata” perché mi venisse concessa una cosa semplice ma non permessa altrove, quella di fare giocare in gruppo dei bambini a basket tenendo basso il livello di competizione, senza campionati, senza partita. Giocare e sognare per qualche ora alla settimana senza la paura di dover essere competitivi anche in questo ambito. 24 ore su 24.
E’ chiaro quindi che un versante delle paure legate al cambiamento di ordine di scuola sia in qualche modo prodotto della contemporaneità, ma questo non è che una parte della questione.
Esiste un altro lato, che invece ha a che fare con ciò che non cambia, ciò che non muta o che comunque torna nel corso della storia . Ci sono però delle cose che non cambiano. Se è vero infatti che la tecnologia ha dato un’accelerata a tutto ciò che viviamo è altrettanto vero che il mondo da che esiste continua a tenere il suo passo, 30 kilometri al secondo!
Non cambia alla fine neppure la persona che in fondo strutturalmente pur risentendo in modo profondo del rapporto con la realtà resta sempre la stessa nel corso dei secoli. Al gioco che ci propone la realtà la persona può rispondere accettando le regole del gioco o rifiutarle. Non ci sono altre e più moderne possibilità di risposta.
Mi sembra interessante quindi portare come esempio paradigmatico di questa continuità, un personaggio storico che testimonia con la sua vita, tutto il travaglio del cambiamento, tutto il peso dell’errare (nella doppia accezione del termine: camminare ma anche sbagliare), tutta la bellezza del mettersi al lavoro sul nuovo.
Si tratta di Agostino d’Ipona, più conosciuto come sant’Agostino.
Agostino è la “summa auctoritas” del pensiero medioevale; vive tra il 354 e il 430, e il suo pensiero è così complesso, articolato e con una serie di caratteristiche peculiari che ne rendono difficile una riflessione sistematica. Tutte le biografie su Agostino sono in qualche modo incompleta e corrono il rischio di tradire il pensiero del Vescovo di Ippona. Questa a-sistematicità è proprio una delle caratteristiche del pensiero di Agostino e rende le sue opere radicalmente differenti da quelle dei filosofi che lo hanno preceduto e da quelle che lo seguiranno. Tra Agostino e Tommaso (e più in generale le Summae del XII secolo) c’è un abisso, poiché il modo di procedere del filosofo di Tageste può sembrare talvolta quasi contraddittorio
Un aspetto interessante è quello che Agostino d’Ippona visse in una delle epoche di più profonda crisi, di più radicale cambiamento, di più irreversibile voltar di pagina che la Storia ricordi: il crollo dell’Impero romano. Ciò che sembrava eterno si rivelava caduco. Ciò che appariva assoluto risultava relativo. Ansia, disagio e disorientamento sono le sensazioni che circonda Agostino e i suoi contemporanei così come per noi, uomini e donne di oggi. Vi sono dei punti di analogia tra ciò che sta accadendo oggi e quello che accadeva ai tempi di Agostino e quello che accade oggi. Con la differenza che oggi sta accadendo tutto con una velocità incredibile. Il senso di incertezza, di disorientamento però probabilmente è lo stesso. Uno studioso di sant’Agostino definirà con una espressione mirabile quell’epoca “lost future”, l’avvenire perduto. Non è possibile leggere i cambiamenti e l’ansia che deriva da questi senza collegarli – oggi più che mai – a questa precarietà di futuro.
La storia di Agostino è di per se paradigmatica: prima studente indisciplinato, poi studioso brillante; prima adolescente inquieto, poi giovane dai molti amori, quindi compagno fedele di una donna che lo renderà padre; prima maestro di provincia senza prospettive, poi oratore ufficiale dell’imperatore; prima scrittore senza successo, poi autore di decine di opere che continuano a dare forma alla coscienza e alla cultura dell’Occidente; prima cristiano non battezzato, poi manicheo anti-cattolico, poi scettico, quindi battezzato, sacerdote e, infine, vescovo.
Quello che maggiormente in questo caso di interessa è in modo particolare il suo libro più clamoroso, Le Confessioni.
Consiglio sempre di leggere questo testo perché è di una tale profondità, di tale ricchezza, di una tale bellezza da lasciare sgomenti. Agostino in alcuni passaggi rasenta l’apogeo del pensiero umano.
Le confessioni non sono un’opera religiosa, sono più,
Le confessioni non sono un libro, sono molto di più.
Le confessioni sono la storia dell’umanità intera, di tutti di noi.
In modo particolare i primi due libri sono quelli che maggiormente ci possono interessare rispetto al tema del cambiamento di ordine e grado nella scuola, poiché trattano nell’infanzia e dell’adolescenza rappresentandoci e portandoci una serie di tappe di cambiamenti, di tormenti vissuti dal giovane agostino, da suo padre Patrizio e da sua madre Monica. Una coppia piuttosto moderna, simile a tante famiglie di oggi. Padre perennemente in crisi, e madre che spesso più che Monica si potrebbe chiamare Monicolla, poiché è sempre attaccata al figlio.
Quel che più colpisce delle Confessioni è che non esiste nulla di solitario in esse. Le confessioni sono appunto un libro pubblico. Questo è molto interessate perché le varie tappe della vita di Agostino, le varie difficoltà, i vari inciampi, il suo errare acquistano valore e quindi la possibilità di provare un cambiamento solo nel momento in cui sono esplicitate.
E’ quello che nella pratica corrente deve interessare anche a noi… spesso ci troviamo di fonte ai nostri bambini e le nostre bambine, ai nostri ragazzi e ragazze, di forte al muro del silenzio. E’ difficile che ci sia l’esplicitazione delle difficoltà. Molto spesso sia noi a dover leggere interpretare le loro difficoltà e provare a darle un nome. E’ un’operazione pericolosa perché si rischia di sbagliare completamente ma che è in qualche modo necessaria, perché a loro davvero mancano le parole. C’è un’espressione bellissima medioevale che parla proprio di questo “inopia verborum”.
Occorre avere attenzione e un tocco leggero ma dobbiamo aiutare i bambini a compiere questa operazione di confessione nel significato più agostiniano del termine. Confessione come conversione, nel senso di cum verto, voltarsi, di compiere un giro. Dobbiamo facilitare questo movimento di guardarsi indietro.
Siamo noi a dover avere questo ruolo di facilitatori con i nostri figli, aiutarli a confessarsi e sottolineare i punti di difficoltà per facilitare loro questo momento di voltarsi dietro.
Potremmo per semplificare utilizzare il grafo dell’apres-coup di Lacan per spiegare questa cosa:
Sull’asse S-S1 poniamo il percorso di vita dei bambini, dei nostri ragazzi. La lettera A è la nostra posizione, la nostra parola che li aiuta a fargli capire dove sono i punti cruciali, i punti che generano difficoltà, paura, blocchi. La lettera S barrata rappresenta infine la nuova posizione della persona, arricchita da questo più di consapevolezza.
E’ chiaro a tutti noi, e deve essere detto, che questa operazione non è miracolosa. In fondo non lo è neppure in sant’Agostino…. Però ha un valore, ha una forza, ha sicuramente un impatto positivo che per un po’ di tempo, fino alla prossima crisi, aiuta. Per questo che nel grafico la S viene barrata. È sempre un lavoro incompleto.
Su questo le Confessioni sono paradigmatiche e molto – se vogliamo dirla tutta –pedagogiche per i genitori che lo leggono.
L’andamento proposto da Agostino è infondo quello spesso mi trovo a vivere quando penso alla crescita di mio figlio e agli interrogativi, alle tensioni che mi pone come padre. In questo sta la modernità assoluta del pensiero del filosofo di Ipona. Nelle Confessioni vi è un continuo muoversi, porsi domande, cercare risposte, reinterrogarsi ancora. Siamo di fronte ad un andamento a spirale. Ogni volta che si pensa di aver ottenuto una risposta ecco che qualche cosa di nuovo si ripropone, ecco un nuovo interrogativo aprirsi, ecco una nuovo problema da affrontare.
La grande lezione agostiniana è che questo continuo movimento, questo continua spinta alla ricerca, è qualche cosa di connaturato alla natura umana, alla struttura della persona. E’ un destino senza requie quello che ci aspetta, un continuo lavorio quello dell’educatore, dell’insegnante, del genitore. Un lavorio che stanca, che genera continue nuove domande e nuove fatiche. Una lavorio occorre dirlo affasciante come pochi. Un lavorio che mai ci deve e può stancare.
E’ questo il messaggio più bello che ci consegnano le confessioni di Agostino e che deve essere la nostra benzina nei momenti di stanca. Il destino della persona (e quindi anche quello del cucciolo dell’uomo e del suo genitore) è sempre quello di essere “homo viator”, di essere uomo in cammino. Lo è strutturalmente, fa parte della natura dell’uomo. E’ l’espressione più alta della vita che Agostino pone in termini assoluti nel punto di alto del suo pensiero, e forse anche in quello del pensiero umano: “et inquietum est cor nostrum, donec requiscat in te” (e in nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te)
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26 febbraio – Ripartire per la vita…. Il progetto “RESTART” e la clinica delle dipendenze
18 febbraio – Il mondo è un intreccio. Riflessioni sull’integrazione culturale
12 febbario – Il gioco è una cosa seria (prima puntata)
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30 gennaio – Figli di una ragione minore (2^ parte)
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