RUBRICA – Vintage è l’ennesima parola fashion che contribuisce ad inquinare ulteriormente la lingua italiana, letteralmente significa “d’annata” e trae la sua etimologia dal linguaggio enologico, riferito al vino, il “vintage vin”, un gustoso e buon vino che non sia “nuovo” , praticamente un vocabolo elegante per riqualificare un oggetto del passato.
Per definirsi vintage un capo deve avere almeno 25 anni, deve essere stato realizzato tra gli anni 20 ed 80 (un abito o un accessorio prodotto prima degli anni 20 si considera antico, uno prodotto dopo il 1991 non è ancora abbastanza datato), deve essere prezioso e di eccellente qualità, sia per tessuto che per manifattura. Vorrei specificare che un capo già cheap e di basso profilo 40 anni fa, lo è tuttora, quindi non ci sogneremmo mai di spacciare per vintage un maglione infeltrito del 1975.
Si tratta di un fenomeno culturale iniziato negli anni 70, come una specie di ribellione al consumismo. Ora però, in pieno boom, il suo significato è mutato, decontestualizzano i capi delle varie epoche e rivisitandoli in chiave post moderna, è diventato una sorta di ritorno al futuro per fashionisti e gente di stile. Le boutique vintage , stanno nascendo come funghi. Sono luoghi dove si possono trovare dei veri tesori appartenuti ad un’epoca passata, da non confonderli con i negozi “second hand”, perché è un concetto molto diverso.
Perfino in boutique snob come Fred Segal di Los Angeles, oppure Ralph Lauren di New York, troviamo corner dove si vendono capi vintage usati di altissima qualità, frequentati da amanti del fashion ed operatori del settore in cerca del ripescaggio blasonato, all’insegna dell’eleganza borghese di un tempo fu.
Pezzi di altissimo livello si possono trovare anche nelle aste, bisogna solo avere la pazienza di cercarle, parteciparvi, riconoscere i capi e, naturalmente, possedere un “bel” portafoglio per pagare.
Perché il vintage piace tanto? Le risposte sono molteplici, di carattere psicologico, economico e culturale ma tutte accomunate da una concezione di svendita (o vendita) dei ricordi, la piacevole riesumazione di un gusto che non appartiene più alla massa. In un mercato come il nostro, dove si acquistano gli stessi capi in tutte le città del mondo, un oggetto unico, irripetibile non riproducibile come un capo vintage, potrebbe davvero fare la differenza . Per questo, molti esperti di moda e design, spesso vestono con capi vintage, con la sicurezza della vera unicità.
Moltissime sono le nuove edizioni di modelli stile anni 50 60 e 70, proposti nelle collezioni dei brand contemporanei con tessuti moderni , questi però nulla hanno a che vedere con la qualità tipica delle produzioni dell’epoca, in questo caso, vintage si potrà definire esclusivamente il modello. Così restando le cose (se, resteranno così….), saremo costretti a riciclare all’infinito, quello che indossiamo ora, ce lo riproporranno come vintage nel 2040, anche se nutro seri dubbi circa il loro livello di conservazione e durata nel tempo, imparagonabile ai capi confezionati prima degli anni 70, quando tutto ciò che era prodotto era fatto per durare nel tempo e non 2 o 3 anni come le produzioni dei nostri giorni.
Vestire vintage non è semplicissimo, bisogna fare attenzione a non trasformarsi in una caricatura appena uscita da una polverosa rivista d’antan, oppure abbinare stili che non si accordano tra loro. Se non siete abilissimi, meglio utilizzare un capo, massimo 2 per volta. I più facili da portare sono gli accessori, borse, cinture, foulard e bijoux, attenzione però alle scarpe ed ai cappelli, da contestualizzare allo stile dell’abito. Non è indispensabile che i capi siano di marchi famosi o grandi firme, l’importante è che siano di qualità, a volte, anche investendo cifre relativamente basse, si possono ottenere effetti sorprendenti ed un grande valore aggiunto allo stile personale.
Ormai direi che si possa parlare di mania, le fiere del Vintage aumentano sempre di più in tutto il mondo. In Italia, tra gli eventi più accreditati ci sono: Il Circolo Degli Artisti a Roma, il Balon di Torino e, sicuramente uno dei più importanti in assoluto, “Next Vintage” che si tiene 2 volte all’anno nel suggestivo castello di Belgioioso in provincia di Pavia, dove commercianti e collezionisti di tutta Italia si danno appuntamento per dar vita ad una mostra mercato dedicata alla moda del passato a 360 gradi.
Gli storici della moda sono tutti d’accordo: i primi ad esplorare il mondo del vintage, al fine di codificare un vero linguaggio della moda, sono stati i giapponesi. Avendo come mito gli Stati Uniti, hanno pubblicato con successo, libri su giubbotti da aviatore, stivali da rodeo, abiti da sera di star e starlette anni 50, rivendendo agli americani il loro passato. Grazie ai giapponesi, la moda dell’usato guadagna una biografia, una storia vera e propria.
Alcuni capi possono davvero essere senza tempo, nel 2000 quando Julia Roberts ritirò l’Oscar come miglior attrice protagonista per Erin Brockovich, indossava uno splendido abito da sera Valentino d’annata e sembrava attualissimo.
Le attrici ed attori che vestono vintage anche nelle occasioni ufficiali sono molti: Milla Jovovich, Johnny Depp, Dita Von Teese e molti altri. Natalie Portman nella notte degli oscar 2012, indossava un abito di Dior del 1954. Era un vintage di Dior anche il meraviglioso abito indossato da Kate Moss durante una festa nel 2007, quando una distratta Courtney Love, camminandoci sopra, glielo distrusse strappandolo. La bella Kate però non si perse d’animo e trasformò l’abito da maxi a mini. “…e cos’altro potevo fare?” Dichiarò elegantemente ai giornalisti durante un’intervista qualche giorno dopo.
Maria Cristina Giordano
Consulente d’Immagine e Personal Shopper
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