Com’è morire a 12 anni?
È questo che Philip Roth vuole mostrarci nel suo Nemesi.
“Nemesi” è una parola greca il cui significato è piuttosto ampio: vendetta, giustizia divina, sdegno, ripugnanza, biasimo, collera… Ognuno di questi sensi, però, va bene per un aspetto del libro.
Siamo nel 1944 a Newark, cittadina americana (nonché città natale dell’autore stesso), quando accade una tragedia che sconvolgerà la vita del protagonista, Bucky Cantor.
Visto l’anno, verrebbe spontaneo pensare alla seconda guerra mondiale e a tutto ciò che essa ha comportato. Ma non è così. La tragedia in atto è un’epidemia di polio tra gli studenti del Mr Cantor.
Benché riformato a causa della vista, Bucky si trova a combattere una guerra altrettanto dolorosa, una guerra intima che lo sconvolge, una guerra doppiamente ingiusta e terribile perché assale soprattutto gli innocenti, perché è imprevedibile e inafferrabile e lo spinge a un certo punto a dubitare di Dio.
Bucky, a un certo punto, scopre d’essere l’inconsapevole responsabile del contagio fra i suoi ragazzi, prima di esserne lui stesso vittima. Decide così di punirsi della colpa non commessa, rinunciando per tutto il resto della sua vita a qualsiasi consolazione sentimentale o affettiva. Così “Nemesi” alla fine diventa per lui anche senso della colpa ed espiazione.
Roth abbassa e restringe il suo orizzonte, semplifica le sue descrizioni e le sue psicologie, la natura e il dramma dei suoi personaggi, gente normale e modesta, vittime di un male incontrollabile.
La struttura del romanzo è semplice ma ingannevole. A tutti gli effetti è narrato in terza persona, ma a pagina 71 compare “io” che, nella terza parte del libro, prende anche un nome: Arnie, uno dei bambini allievi di Cantor.
Sarà proprio Arnie, ventisette anni dopo la tragedia, ad aiutare il suo ex insegnante. Entrambi vittime della polio, sopravvissuti ma rimasti storpi, hanno condotto vite completamente diverse: Arnie si è sposato e ha superato la propria deformità, Mr. Cantor si sente ancora colpevole di quanto accaduto. La gioia di Arnie nell’averlo incontrato è tale, però, che inizieranno a frequentarsi e ad affrontare la loro condizione.
Il romanzo si chiude con un ricordo di Arnie che narra di quando vide il suo insegnante per la prima volta: bello, giovane, atletico e – come dice egli stesso – invincibile. Questo perché la speranza non deve mai morire.
Trama.
Bucky Cantor, animatore di campo giochi vigoroso e solerte, lanciatore di giavellotto e sollevatore di pesi ventitreenne si dedica anima e corpo ai suoi ragazzi e vive con frustrazione l’esclusione dal teatro bellico a fianco dei suoi contemporanei a causa di un difetto della vista.
Ma nell’estate del 1944 la polio comincia a falcidiare anche il suo campo giochi: paura, panico, rabbia, confusione, sofferenza e dolore sono i sentimenti del giovane.
Spostandosi fra le strade torride e maleodoranti di una Newark sotto assedio e l’immacolato campo estivo per ragazzi di Indian Hill, sulle vette delle Pocono Mountains, Bucky diventa un uomo di polso e sani principi che, armato delle migliori intenzioni, combatte la sua guerra privata contro l’epidemia diventandone egli stesso una vittima.
Francesca Numerati