RUBRICA – PSICOLOGIA DELLO SPORT –
Una delle sfide più difficili (all’apparenza) per un atleta che vuole migliorare le sue capacità psicologiche/mentali nello sport riguarda spesso la ricerca di una migliore concentrazione in gara. Anzi, molte volte il neofita crede che tutto si possa ridurre a due singoli aspetti: motivazione e concentrazione, se ce li hai bene, altrimenti è finita!
Abbiamo visto nel corso degli articoli di questa rubrica (ecco un comodo link con tutti i testi finora pubblicati: INDICE ), come invece sono molte e innumerevoli le sfaccettature che caratterizzano la parte “mentale” dello sport e quanto sia importante adottare un’approccio simile all’allenamento fisico per ottenerne la padronanza.
Ciò che è innegabile è il fatto che molte qualità psicologiche funzionino secondo la logica del domino: spesso muovendo la tessera giusta ecco che si scatena una reazione a catena in grado di coinvolgere anche tutti gli altri aspetti. Ad esempio, l’atleta demotivato, una volta che riesce a ritrovare il senso delle sue azioni, sviluppa una maggiore sensibilità anche su aspetti come concentrazione, orientamento agli obiettivi, dialogo interiore, capacità immaginative, visualizzazioni… proprio perché nella sua mente si è creato delle nuove possibilità, nuove opportunità, nuove aree di miglioramento di cui prima proprio ignorava l’esistenza!
A questo punto si può fare una piccola considerazione: da qualsiasi parte si cominci… va sempre bene! E in effetti è proprio così.
Quella che propongo oggi è una breve analisi su come debba essere considerata la concentrazione (focus attentivo, attenzione, orientamento del pensiero sono altri suoi sinonimi) e cosa si possa fare su di essa.
Innanzitutto si può semplicemente definirla come la capacità, da parte dello sportivo, di rimanere focalizzato in maniera ottimale sull’oggetto della sua attività, nonostante eventuali elementi di disturbo interni (pensieri, emozioni, etc.) ed esterni (pubblico, risultato, etc.).
Ogni individuo può concentrarsi a modo suo, ma comunque con la stessa efficacia: c’è chi lo fa richiudendosi in se stesso, chi invece abbracciando il mondo attorno. Inoltre, a seconda del tipo di sport si possono verificare “richieste” di concentrazione differenti: ad esempio negli sport di squadra è necessario concentrarsi sia sulle proprie azioni che sul gioco, nell’automobilismo è fondamentale concentrarsi “sull’orizzonte” cercando di essere “più in là possibile”, nel podismo è indispensabile concentrarsi sullo stato del proprio corpo, nel tiro con l’arco è utile concentrarsi sulle proprie azioni motorie e sulla qualità del gesto atletico. Il quadro che otteniamo ci fa intuire quanto possa essere differente la richiesta, a seconda dello sport praticato.
Che fare quindi per cominciare a migliorarsi?
La risposta suonerà abbastanza familiare: con un allenamento ripetuto nel tempo.
Già ma su cosa agire? Come?
Esiste, in tutti gli sport, un fattore di base comune su cui possiamo operare direttamente per modificare la nostra concentrazione: “l’attenzione va dove va l’occhio”.
Non è una banalità come potrebbe apparire ad una fugace lettura, poiché stiamo parlando di uno sguardo volontario, significativo, a cui possono anche essere attribuiti dei compiti specifici. Quante volte vi è caduto l’occhio su quel tizio in mezzo alla folla perché stava per inciampare? Non vi siete forse “dimenticati” per un attimo della fidanzata con cui stavate parlando al telefono? Ciò avviene perché, in qualità di essere umani, siamo ormai estremamente abituati a prediligere il senso della vista su tutti gli altri a nostra disposizione (ad eccezione dei non vedenti, che invece imparano ad utilizzare con maggiore frequenza gli altri).
Ora, al di là di cosa sia meglio, noi possiamo certamente sfruttare a nostro vantaggio questa preminenza della vista: sarà necessario esercitarci a guardare, con occhi diversi e “vivi” quello che è l’oggetto del nostro sport. Prendiamo ad esempio uno sport closed skill come il tiro con l’arco: in questo caso il campo visivo dell’atleta può benissimo essere in un fazzoletto! Fondamentalmente racchiuso nello spazio di azione della linea di tiro e allungato in orizzontale fino al bersaglio. Quello che sta intorno potrebbe tranquillamente… non esistere! Anzi, magari bisognerebbe seguire proprio quella direzione se ritenuta congegnale per l’atleta.
Ciò che è sicuro è che sarebbe necessario impostare un percorso volto alla scelta del “campo visivo”, successivamente abbinato a compiti di “osservazione” specifici. Questo perché, attraverso “l’imposizione” volontaria di ciò che guardiamo, abitueremmo il nostro cervello ad elaborare solo gli imput rilevanti, a discapito di quelli ininfluenti. La prassi prevede che, una volta imparato a focalizzarsi su specifici stimoli visivi, si debba riuscire a farlo anche a fronte di elementi disturbanti creati ad hoc.
L’approccio visivo alla concentrazione è solo uno dei tanti possibili, ma di fatto rappresenta il più immediato e praticabile, vedremo nei prossimi articoli quali altre strategie siano possibili da adottare.
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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport
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