Emergenza Ucraina, ritardi nel meccanismo di accoglienza statale
I profughi restano a carico di 85 famiglie lecchesi che avevano dato disponibilità di alloggio nelle loro abitazioni o seconde case
LECCO – E’ un triste anniversario quello che ricorre oggi: è trascorso infatti un anno dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina e dodici mesi dopo restano ancora impresse nella mente le immagini dei civili in fuga dalle città bombardate, degli anziani costretti a spostarsi tra le macerie dei ponti per allontanarsi dal pericolo, degli adii sofferti in stazione tra familiari, dei palazzi diroccati e dei corpi senza vita.
Un orrore che prosegue e che resterà a lungo negli occhi degli ucraini che ha Lecco hanno trovato una nuova casa: attualmente secondo i dati della Prefettura sarebbero 952 le persone ospitate nella nostra provincia, un dato che potrebbe risentire di allontanamenti spontanei e non dichiarati. Il picco massimo di arrivi si è registrato nei mesi successivi allo scoppio della guerra, quando nel lecchese erano giunte in tutto 1479 persone dall’Ucraina.
Nei giorni dell’emergenza, molti si erano mobilitati nel lecchese in aiuto degli ucraini, con iniziative singole e spontanee ma anche coordinate, come quella messa in campo dalla Fondazione Comunitaria del Lecchese insieme al Distretto di Lecco e gli ambiti territoriali, Confcooperative Adda e il Centro Servizi per il Volontariato.
Queste realtà, insieme, avevano raccolto le disponibilità delle famiglie che si sono fatte avanti per accogliere profughi presso le loro abitazioni o seconde case, riuscendo a trovare un alloggio a ben 954 persone e raccogliendo oltre 300 mila euro di donazioni per sostenere l’accoglienza sul territorio, con buoni acquisto destinati alle persone accolte e per contribuire alle spese di chi ha accolto.
Un anno dopo, 250 profughi, la maggior parte donne e bambini, sono ancora in carico a 85 famiglie lecchesi che ben volentieri si erano messe a disposizione per una soluzione che doveva essere temporanea, senza ricevere alcun rimborso se non le risorse raccolte e distribuite dalla Fondazione.
Eppure, la macchina statale si era mossa attraverso il sistema SAI di accoglienza diffusa e tramite la Protezione Civile regionale che avrebbe dovuto ricollocare i profughi in strutture accreditate e finanziate a tale scopo. Qualcosa evidentemente non ha funzionato a dovere e già a novembre la situazione era stata resa nota proprio dalla Fondazione, facendo presente che – in quel momento – erano ben 400 gli ucraini che attendevano di essere presi in carico dal sistema di accoglienza”.
C’è chi ha fatto ritorno, chi ha trovato lavoro
Il problema resterebbe lo stesso, seppur attenuato nei numeri: “Sappiamo che qualcuno ha fatto ritorno in Ucraina, magari per un breve periodo per ritrovare mariti in congedo militare e poi ritornare, chi invece si è trasferito in Polonia vicino al confine in una posizione meno pericolosa ma più agile per gli spostamenti – spiega Paolo dell’Oro, direttore della Fondazione – C’è anche chi a Lecco ha trovato lavoro e ha potuto prendere un’abitazione in affitto. In particolare nuclei composti da madri e figli si sono organizzati in modo che una delle due donne lavorasse e l’altra badasse ai bambini. C’è invece chi ha effettivamente trovato posto nel sistema di accoglienza SAI e ha lasciato la casa dove era ospitato”.
Sarebbero una trentina i migranti ucraini che hanno trovato collocazione nel sistema di accoglienza diffusa, una ventina tramite la Protezione Civile sono oggi in carico al Centro Servizi per il Volontariato e altri ancora alla Caritas.
Un sistema farraginoso
La Fondazione, conferma il direttore Dell’Oro, “sta cercando di sostenere lo sforzo economico delle famiglie che hanno dato la loro disponibilità e nel mese di marzo contiamo di dare un nuovo contributo, promuovendo anche un momento di festa e di ringraziamento”.
Ma perché il sistema si è inceppato? “Io piuttosto direi che il meccanismo di accoglienza è un po’ farraginoso – spiega Guido Agostoni, presidente del Distretto di Lecco – L’iter accedere al sistema SAI prevede dei passaggi a livello regionale e nazionale per trovare una collocazione che non è detto sia per forza sul territorio dove oggi si trovano i richiedenti accoglienza e viceversa potrebbero trovare posto da noi persone oggi ospitate in altre province. Sono verifiche che richiedono tempo e a cui aggiunge anche un fattore importante: quello delle relazioni intessute in questi mesi, penso in particolare ai bambini e ai ragazzi che frequentano le nostre scuole, alle persone che si sono inserite nelle comunità e potrebbero dover ricominciare da capo altrove”.
“Va poi dato atto alle famiglie lecchesi che, pur nella fatica economica – spiega Agostoni – hanno deciso di voler proseguire questa esperienza di accoglienza”