La mostra fotografica racconta le storie (e le speranze) di 16 detenuti della Casa Circondariale di Pescarenico
“Nessun uomo deve essere definito dal reato che ha compiuto”
LECCO – Un muro che cade, uno sguardo che avvicina, un sorriso che racconta. Con la mostra fotografica “Gli anni smarriti”, il fotografo e scrittore Gian Maria Zapelli porta alla luce un mondo solitamente invisibile: quello dei detenuti della Casa Circondariale di Lecco. Sedici grandi pannelli ritraggono uomini privati della libertà, ma non della dignità, colti in gesti e sguardi che appartengono alla comune umanità.
Lontano dai canoni della fotografia carceraria, il progetto sceglie di raccontare la persona oltre il reato, invitando a riflettere sul valore della riconciliazione e sulla possibilità di una nuova consapevolezza. Ogni ritratto è accompagnato da una poesia e dal solo nome del detenuto, scelta che rende ancora più forte il messaggio: l’errore non definisce la persona.
La mostra, visitabile fino al 27 settembre presso l’Officina Badoni di Lecco, è stata inaugurata giovedì pomeriggio alla presenza di numerose istituzioni: la presidente della Fondazione Comunitaria del Lecchese Maria Grazia Nasazzi, la direttrice della Casa Circondariale di Lecco Luisa Mattina, l’assessore al Welfare del Comune di Lecco Emanuele Manzoni, il cappellano Don Marco Tenderini, il sindaco Mauro Gattinoni e naturalmente l’autore Gian Maria Zapelli.

La direttrice Luisa Mattina ha sottolineato il significato delle immagini: “Nessun uomo deve essere definito dal reato che ha compiuto. La realtà penitenziaria è un luogo di relazioni umane, e questo lavoro accorcia la distanza con la vita libera”. Il percorso fotografico, ha aggiunto, non si è limitato allo scatto: dietro ogni ritratto c’è un cammino di rielaborazione e autoconsapevolezza condiviso con i detenuti. “Sono persone uguali a chi sta fuori, con le stesse speranze. Vorremmo suscitare una riflessione su un mondo nascosto ma vi assicuro fatto di straordinaria umanità”.
L’assessore Manzoni ha ricordato come nessuno sia “autosufficiente” e come il valore delle connessioni reciproche sia fondamentale. Il cappellano della Casa Circondariale ha ribadito che “una persona non può mai essere ridotta al suo reato”: l’incontro autentico nasce nel riconoscere l’altro come individuo, non come colpevole. “Quando incontro un nuovo detenuto non chiedo mai perché si trova in carcere, non mi interessa, a me interessa la persona” ha spiegato “incontrare come persona quella persona è il senso del lavoro che ha svolto Gian Maria Zapelli, che ringrazio per questa bella opportunità”.

Zapelli ha voluto rivolgere il primo ringraziamento ai sedici detenuti che hanno accettato di partecipare al progetto. Prima di fotografarli, ha trascorso con loro un’ora e mezza di dialogo: “Non ho la pretesa di aver capito il mondo carcerario tramite i loro racconti, ma dalle loro parole è emersa una grande consapevolezza. Nessun vittimismo, piuttosto responsabilità e valori chiari”. Il fotografo ha poi parlato del futuro: “Il nostro futuro inizia quando non abbiamo ancora deciso quale esso sia, inizia da bambini. Tutti i sedici detenuti che ho incontrato hanno avuto un’infanzia devastata. Questo non giustifica i reati, certo, ma fa riflettere”.
“Gli anni smarriti” non cerca il dramma, ma restituisce volti quotidiani, fragili e pieni di speranza. È un progetto che invita a rivedere il nostro sguardo sul carcere, ricordando che dietro le mura non ci sono solo colpe, ma persone.





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