Nel precedente articolo abbiamo presentato un esercizio pratico per cominciare ad allenare il vostro “io sportivo” a farsi trovare pronto e dalla vostra parte quando è il momento che conta: durante la prestazione atletica, soprattutto nei momenti di difficoltà. L’esercizio consisteva nel mettersi volontariamente in situazioni di stress sportivo, in condizioni difficili da gestire ed emotivamente coinvolgenti. Dicevamo che non basta “simulare” la situazione del nostro rivale storico che ci sta sconfiggendo, piuttosto è molto meglio averlo proprio lì dal vivo e fare in modo di subirlo realmente!
A questo punto possiamo introdurre gli elementi più propriamente psicologici. Nel descrivere la filosofia che si cela dietro ad essi ho pensato che potesse essere più efficace e coinvolgente appoggiarmi ad alcune metafore presenti in un noto film, che di sport non ne parla proprio: “Fight Club”. Premetto che si tratta di un film adulto (assolutamente sconsigliato ai minori) e che se qualcuno non ha mai avuto modo di vederlo, nonostante il film sia vecchiotto, in questo momento sto per “bruciargli” la trama. Sarà un articolo ad alto spoiler, siete avvisati. Detto questo vorrei considerare il sopracitato film solo sugli elementi psicologici, abbozzando la trama ed escludendo la parte violenta: adotterò uno stile da bollino verde. Il protagonista è un uomo medio (dovrebbe chiamarsi Jack, ma nel film non lo dicono mai, comunque per convenzione chiamiamolo così), ha circa 30 anni, per lavoro è sempre in volo e veleggia in una sorta di catalessi da jet lag: vita frammentata ma abbastanza piatta. Ad un certo punto incontra Tyler ed ecco che tutto cambia, inizia con una simpatia, poi diventa ammirazione, infine una sorta di fedeltà da camerata. Tyler è tutto quello che lui vorrebbe essere: guardiamo anche soltanto la foto di quest’articolo Tyler (Brad Pitt) esprime forza, l’abbigliamento è temerario, la schiena è dritta, le spalle e il collo sono in linea con il corpo, il volto guarda davanti a sé; Jack di contro è “grigio”, non solo per l’abbigliamento, il corpo è incurvato e ingobbito, la testa è rivolta verso il basso. Fra i due è evidente, anche solo da un’istantanea, la gerarchia di dominanza. Nel proseguo del film succedono parecchi eventi, giusti o sbagliati che siano, ma il concetto di fondo è che il carisma di Tyler è tale da riuscire ad organizzare un gruppo di seguaci di proporzioni internazionali fino al colpo di scena: Tyler sparisce. A quel punto Jack inizia a cercarlo in giro per il mondo, volando di qua e di là, è sempre sui suoi passi ma non per quel tanto che gli permetta di raggiungerlo, finchè non lo trova e scopre una verità impensabile: Tyler… non esiste, è semplicemente una proiezione della sua mente, Jack è Tyler, da sempre, tutto quello che è accaduto è solo il risultato della sua duplice personalità. Il film si chiude poi con una lotta interiore fra i due alter ego, ma direi che a quel punto la storia è mera narrazione…
L’essenza da cogliere è invece una: per tutto il film Tyler sembra essere una figura irraggiungibile, dotata di bellezza e charme, imperturbabile in ogni situazione, in grado di superare qualsiasi ostacolo (è anche “malsano”, ma ripeto, ci servono solo gli elementi “interessanti” della sua personalità). Da ingenuo spettatore si crede che sia così perché è un “figo” per natura, perché è geneticamente predisposto ad asserlo. Ma poi invece il “debole” Jack, quello che sembra scomparire di fronte alla figura di Tyler, ecco che si scopre essere lui stesso il modello che vorrebbe raggiungere. La versione “proattiva” del film ci fa vedere come esista dell’enorme potenziale anche in uomini ordinari, in persone che all’apparenza non sembrano dirci granchè. Attraverso Tyler, Jack è finalmente in grado di essere il top di se stesso, di fare ed osare con sicurezza, scoprendo con quale disarmante facilità una versione diversa di sé è in grado di ottenere risultati che inizialmente non avrebbe mai potuto immaginare. Di fronte al disvelamento della propria duplice personalità si percepisce lo stupore del narratore nella banale considerazione: “sono stato io a fare tutto questo!” Non c’è quindi un “Tyler mandato dagli dei” ma un “Jack venuto dagli uomini”. Jack diventa Tyler con un solo e semplice cambio di registro di personalità, non serve nessuna plastica facciale per le fossette alla Brad Pitt. Cosa cambia in Jack quando si “trasforma” in Tyler? Cosa noteremmo in lui di diverso se fossimo un osservatore perfetto?
– Partiamo dalle cose semplici, la camminata: non c’è modo migliore per sentirsi alleati di se stessi di due piedi ben piantati per terra: cammina come se fossi pronto ad affrontare il mondo intero, mettendoti in gioco. E’ una caratteristica che si può notare da lontano e che ci condiziona subito nel giudizio di chi osserviamo. In questo gli americani sono i maggiori esperti mondiali: pensate solo ai diversi stili che si possono osservare non solo fra gli sportivi, ma anche a seconda dei diversi ruoli lavorativi, sociali, classi, età, etc. Il meccanismo è piuttosto semplice: cammina sicuro e attraverso la propriocezione ti sentirai più sicuro. Se una persona cammina pian piano con deboleza, e di contro grida di essere pieno di energie, alla lunga l’efficacia delle sue dichiarazioni perderà peso, sconfitta dai feedback corporei.
– Questo ci porta ad un elemento leggermente meno appariscente ma comunque visibile: la postura. L’abbiamo detto all’inizio dell’articolo: con una sola istantanea siamo tutti in grado di comprendere le gerarchie relazionali di un gruppo. Il corpo parla molto di più delle parole (vi evito le statistiche, poiché ognuno dice un po’ la sua, diciamo che siamo fra il 60% e il 75% come peso comunicativo all’interno di una conversazione). Chi mantiene il corpo in un regime di armonia assoluta, economizzando quindi il dispendio energetico dell’organismo rispetto alle forze della Terra, prima fra tutte la gravità, risulta essere nella maggior parte dei casi un soggetto dotato di un elevata capacità di controllo emotivo e di gestione dell’ansia. E’ presto detto, la postura cambia a seconda delle emozioni, pertanto chi possiede una postura dinamica ma resiliente agli stimoli elicitanti ha un beneficio in sede di gestione emotiva. Anche l’utilizzo dei propri arti è all’interno di questo elemento: mani e piedi sono spesso dei veri e propri indicatori emotivi, un esempio su tutti, i piedi a papera sono spesso ritenuti qualcosa di buffo caratteristico delle persone ritenute innocue.
– Scendendo nella profondità di Tyler ci renderemo conto che anche il suo linguaggio è differente: nessuna parola sembra essere fuori posto, sebbene il suo linguaggio sia diretto e volgare. Quando è il momento egli dice ciò che crede. Non è tanto cosa dice a fare la differenza, quanto piuttosto la coerenza delle sue intenzioni con le sue azioni: Tyler è proiettato al “dire per fare” piuttosto che al tipico “dire per lamentarsi”. A suo modo è una persona proattiva, le sue parole sono mattoni che costruiscono case, non un esercizio di stile fine a se stesso.
– Infine la differenza sostanziale fra i due: il pensiero. Tyler cammina sicuro, si muove sicuro, parla sicuro… dentro di sé ha delle idee certe, una serie di obbiettivi e una forte motivazione intrinseca. Tyler non ha dentro di sè il dubbio che corrode Jack, non pensa a se stesso chiedendosi se la sua vita è giusta o sbagliata, se ha il mondo contro o a favore, lui vuole che esista il Fight Club in quanto espressione di un bisogno intimo delle persone, non di certo per far vedere che è il combattente più forte (e non lo è). E nel far così… tutti lo seguono!
Se i 4 fattori sopra indicati vi sembrano poco, qualcosa di poco illuminante, beh… provate a concentrarvi su di essi e a modificarli volontariamente! Scegliete una direzione: “oggi voglio sentirmi veloce”, prendeteli tutti e quattro e… utilizzateli coerentemente verso di essa.
Se lo farete con impegno vi divertirete parecchio, scoprirete maggiormente aspetti del vostro comportamento che non conoscete e… vi si aprirà un mondo nuovo!
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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport
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