Sulla chirurgia ginecologica laparoscopica e robotica è stata promossa una tre giorni teorico-pratica rivolta a clinici e chirurghi ginecologi provenienti da diverse strutture sanitarie italiane che hanno fatto di Lecco la capitale scientifica in questo campo. Da lunedì scorso fino a ieri, venti specialisti si sono confrontati sull’argomento anche con operazioni in diretta e apprendendo dall’esperienza lecchese alcune particolarità in più su questa tecnica.
Il primo intervento di chirurgia robotica al Manzoni risale al 2 marzo dello scorso anno e d’allora sino oggi il robot in sala operatoria è stato utilizzato, fra l’altro, per 60 interventi di ginecologia oncologica, buona parte su pazienti affette da tumore dell’endometrio o del collo dell’utero, provenienti da diverse parti d’Italia, oltre che dal lecchese e dalla Lombardia (in particolare da Puglia , Marche, Sicilia) .
La chirurgia robotica, adottata da 30 ospedali italiani, è in pratica l’evoluzione di quella laparoscopica e permette di non aprire più l’addome, arrivando comunque in profondità.
“Prima con la laparoscopia «classica», dal monitor si poteva godere solo di un’immagine bidimensionale e quindi piatta”. – Ha osservato Antonio Pellegrino, direttore della struttura di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Lecco – “Oggi si ha la profondità di campo e un maggiore ingrandimento di immagine, così il medico è agevolato nel percorrere strade impervie. Inoltre la visione è molto stabile: se prima la qualità e la fermezza delle immagini dipendevano dalla mano di un assistente, attualmente, con un robot, questo problema è azzerato, con l’ulteriore vantaggio di richiedere meno dispendio di energie da parte dell’equipe medica”.
La chirurgia robotica costituisce, insomma, la forma più sofisticata di chirurgia mini invasiva e consente di estendere i benefici della mini invasività (ridotte perdite ematiche e di conseguenza minor necessità di trasfusioni, minor dolore postoperatorio, una più rapida ripresa) ad interventi complessi.