Biscotti, Spending, Politiche internazionali e tossicodipendenze

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RUBRICA – CALeidoscopio –

Leggiamo: “Oreo, il biscotto nero e bianco formato da due amaretti a sandwich, crea dipendenza”. Uno studio dell’Universita’ del Connecticut pubblicato lo scorso 15 ottobre spiega il meccanismo della dipendenza per alcuni alimenti zuccherati e grassi. Nello studio, diretto da Joseph Schroeder, professore di neuroscienze, con l’aiuto di studenti 13/15enni, due gruppi di topi sono stati separati. In un gruppo, i topi potevano scegliere, alla fine di un labirinto, tra degli Oreo e dei dolci di riso e potevano utilizzare tutto il tempo che volevano. Nel secondo gruppo, cosi’ punto di domandacome prima, ma la scelta era tra della droga (morfina o cocaina) e una soluzione di acqua salata. Risultato: i topi del primo gruppo hanno passato la maggior parte del tempo vicino ai biscotti al cioccolato mentre quelli del secondo gruppo dove c’era la droga. Gli Oreo sono allora desiderati cosi’ come avviene per la cocaina?” (tratto da ADUC).

Forse qualcosa non funziona nella traduzione dell’articolo o nel ragionamento. Così come è mi sembra che i topi preferiscano i biscotti ai dolci di riso e la droga all’acqua salata ma forse non ho capito bene.

Esiste anche un’altra versione della notizia: The study, which will be shown at the Society for Neuroscience’s annual conference next month, involved placing an Oreo cookie on one side of a maze and a rice treat on the other. The rats spent most of their time going for the Oreo. The researchers also performed a similar test, but instead of an Oreo cookie they replaced it with morphine and in another test they used cocaine. In both cases the rats preferred the narcotics to the rice cake. (Fonte DotTech.org) (Lo studio, che sarà presentato alla conferenza annuale della Società di Neuroscienze il mese prossimo, consisteva nel mettere un biscotto Oreo su un lato di un labirinto e una delizia di riso, dall’altro. I ratti hanno trascorso la maggior parte del loro tempo per raggiungere il biscotto Oreo. I ricercatori hanno eseguito anche un test simile, ma hanno sostituito il biscotto Oreo con la morfina e in un altro test hanno usato cocaina. In entrambi i casi i topi preferivano i narcotici alla torta di riso

L’esperimento, quindi, potrebbe anche dimostrare che, a quei topi, non piace la torta di riso.

Naturalmente bisognerebbe leggere lo studio per capirne qualcosa di più ma la maggior parte delle persone che hanno ricevuto la notizia dai media non lo leggeranno mai e ricorderanno solo che la cocaina … è come i biscotti: piace anche ai topi.

Il tutto fa parte di comunicazioni che hanno il risultato complessivo di “sdoganare” sempre di più le droghe all’interno di un insieme di notizie che ci bombardano, facendoci credere che siamo tutti dipendenti da qualcosa.

Così, lo zucchero, improvvisamente, diventa pericoloso come la cocaina mentre vengono proposti sul mercato dolcificanti, derivati da piante coltivate, che costano quanto quella droga. Ogni giorno scopriamo che la cannabis fa bene a una malattia diversa in modo che, riassumendo, ci si ricordi che fa bene e basta o, almeno, non fa male. Per le altre droghe siamo ufficialmente tranquillizzati dal Governo rispetto al fatto che il loro uso diminuisce (salvo che, guarda caso, per la cannabis) mentre, marginalmente, ci si accorge che ce ne sono sempre più sul mercato. Chi mai le userà?

Che succede, dunque? A mio parere siamo in una fase speculare a quella che, a fine anni ’80 – inizio anni ’90,  vedeva le droghe come un male assoluto. Allora la comunicazione spingeva alla mobilitazione contro questo male, trasformava in eroi tutti coloro che lottavano contro la droga e chiedeva allo Stato di fare di più. Oggi, in Italia, tutta l’attenzione è spostata sulla “ludopatia”, sul gioco d’azzardo patologico, e gli Amministratori fanno a gara anche per limitare fisicamente la presenza delle SLOT machine. Evidentemente  si pensa che solo la loro presenza possa portare molte persone alla rovina. Gli spacciatori di droga, invece, sono dappertutto (anche sulla Rete) ma questo, in termine di mobilitazione politico – sociale, sembra diventato, improvvisamente, un problema minore. Evidentemente il ragionamento è che ad una macchinetta mangiasoldi non si resiste mentre le droghe sono come i biscotti: si possono mangiare e, con un po’ di attenzione, si riesce anche a mantenere la linea. Nel frattempo gli esperti che sparano, ormai,  percentuali tra il 2 ed il 6 % della popolazione per ciascuna dipendenza, sembrano complessivamente voler dimostrare che il problema non è la dipendenza, che, a far le somme riguarda tutti, ma come viene vissuta.

Tutto ciò avviene nel mondo occidentale, quello, per intenderci, che direttamente o indirettamente gravita attorno all’influenza degli Stati Uniti. Difficile dire se ci siano connessioni, ma effettivamente, negli USA, in tema di tossicodipendenze, c’è stata una sorta di rivoluzione da quando i decessi per l’abuso di farmaci hanno superato quelli di eroina e cocaina messe assieme e da quando l’atteggiamento proibizionista di alcuni Stati, rispetto alla Cannabis, è cambiato. Il tutto rende il fronte della “guerra alla droga” come quelle linee fortificate che, mantenute per anni perfettamente attive e funzionanti, hanno una apparenza minacciosa e consistente, sino a quando non vengono aggirate, diventando, improvvisamente, inutili perché il fronte non sta lì dove sono state costruite ma … da un’altra parte.

Il problema è che sulla linea fortificata di questa guerra noi abbiamo schierato tutto, compreso il sistema di cura costituito da Servizi Tossicodipendenze e Comunità Terapeutiche che, non per nulla, qualcuno considera parte più di un sistema di controllo sociale che di intervento terapeutico. Aggirato il fronte della guerra alla droga ed in tempi di Spending review, la tentazione di considerare anche questa parte del tutto come qualcosa di superato e inutile si farà forte.

Prima o poi qualcuno si chiederà a che servono Ser.T. e Comunità terapeutiche e la risposta non sarà più così scontata come un tempo. In questo caso, ad esempio, più che le ideologie conteranno i risultati. Oggi, senza dubbio, il sistema delle dipendenze è ingaggiato soprattutto sul tema della cronicità ed in questo non c’è nulla di strano. In generale il Servizio Sanitario Nazionale spende la maggior parte delle sue risorse per la cura di patologie croniche. Il rischio, tuttavia, è che, gradualmente, il sistema delle dipendenze, aggrappato alla cronicità, perda la sua funzione di cura, mantenendo quasi esclusivamente quella di contenimento e di assistenza dove, forse, organizzazioni diverse da quelle tipiche della cura, potrebbero avere una migliore efficacia di intervento.

Insomma, una volta crollato il fronte della “guerra alla droga”, Ser.T. e Comunità potrebbero avere ancora senso all’interno del Servizio Sanitario Nazionale solo dimostrando i loro risultati in termini di cura. Il problema è che, attualmente, hanno grandi difficoltà a farlo. Salvo eccezioni non sono, infatti, “culturalmente” pronti ad una prassi operativa che comprenda l’esplicitazione delle performance reali in questo senso.   La stessa teoria “scientifica”, per anni recitata a memoria e solo recentemente messa parzialmente in discussione, che la tossicodipendenza sia una patologia cronica e recidivante, non ha aiutato.

Che accadrà dunque? Si rinuncerà a costruire una “clinica delle dipendenze patologiche” in dinamico divenire e ci si limiterà a curare chi ha patologie mentali gravi che comprendono una dipendenza? Tutto ciò che ha a che fare con prestazioni educative o assistenziali uscirà dall’ambito di azione del Servizio Sanitario? Al momento è difficile dirlo anche se alcune linee di tendenza in questa direzione sembrano delinearsi. Certamente il settore sarà chiamato a ridefinirsi ed a rendere conto internamente ed esternamente in modo più preciso e dettagliato di ciò che fa, di come lo fa e con quali risultati.

Vedo il tutto come qualcosa di irrinunciabile e positivo.

L’importante è che durante questo percorso le ragioni ideologiche, politiche ed economiche esterne al sistema che ne hanno determinato l’esistenza in tempi di guerra alla droga non ne determino, ora, la dismissione con il cambio di strategie che nulla hanno a che fare col curare o con il prendersi cura. Leggendo tra le righe di notizie che paragonano la cocaina ai biscotti e che ogni giorno inventano una nuova patologia scopriamo che le dipendenze patologiche e l’abuso di sostanze non sono certo in contrazione ma rivelano nuovi drammatici risvolti che di volta in volta, di luogo in luogo, sono più o meno considerati in virtù di ragioni politiche e di interessi commerciali non sempre chiari ma, purtroppo, determinanti. Forse lo zucchero sarà anche peggio della cocaina ma la notizia non può nascondere il problema reale che negli Stati Uniti le morti per farmaci antidolorifici oppiacei abbiano superato quelle di cocaina ed eroina messe assieme. Invece, siamo distratti dai biscotti e per essere più precisi, dalla crema che contengono che, evidentemente, piace molto ai topi ma anche ai media e magari anche a ciascuno di noi.

Concludendo: abbiamo parlato di guerra alla droga di nuove politiche e del destino del sistema di intervento e, forse, ora non avete voglia di ulteriori ragionamenti e nemmeno di droga o di farmaci antidolorifici ma, magari, di biscotti … si. Per questo la comunicazione è una delle anime del commercio e contribuisce anche a definire i nostri desideri, le nostre decisioni e le nostre azioni. L’importante sarebbe riuscire a capire a favore di chi o di cosa … ma questo è un altro discorso. Forse.

Riccardo Carlo Gatti, Medico, Psicoterapeuta e Specialista in Psichiatria, Direttore del Dipartimento delle Dipendenze della A.S.L. di Milano

(articolo tratto da: www.droga.net)

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