MANDELLO – L’aveva detto lo scorso giugno sempre da un palcoscenico mandellese (quella volta era il Teatro San Lorenzo di via XXIV Maggio), l’ha ripetuto con forza ieri sera al “De Andrè”. “La storia è maestra di vita – aveva affermato sette mesi fa ricordando Nikolajewka e quella terribile battaglia – e pagine come quelle scritte dai nostri alpini nella tragica campagna di Russia non possono essere dimenticate”.
“Le nuove generazioni – aveva aggiunto – devono sapere ciò che è accaduto, perciò la storia noi abbiamo il dovere di raccontarla”.
Monsignor Bruno Fasani, direttore responsabile dell’Alpino, organo di stampa ufficiale dell’Ana, canonico della Cattedrale di Verona e a sua volta penna nera, martedì 27 gennaio era a Mandello per la Giornata della memoria.
E memoria è stato il vocabolo più ripetuto, dunque più ascoltato, nel corso della serata che ha visto monsignor Fasani – semplicemente don Bruno per gli alpini – dialogare con il sindaco Riccardo Mariani e con Maurizio Bertoli, assessore alla Cultura, sul passato e sul presente, ma anche interrogarsi sul futuro, a cominciare da quello delle nuove generazioni.
“E’ nostro dovere ricordare l’olocausto di tutti i popoli – aveva premesso Emiliano Invernizzi, vicepresidente dell’Ana di Lecco – e non soltanto quello degli ebrei”.
“La memoria non dovrebbe essere al centro soltanto di una giornata – gli aveva fatto eco il capogruppo degli alpini di Mandello, Ermes Gaddi – così come è d’obbligo ricordare tutti gli eccidi”.
“Ecco perché – aveva aggiunto – questa sera don Bruno è qui con noi. E’ qui perché sa parlare in modo alpino e perché con lui il dialogo è costante e sempre costruttivo”.
Le memoria, già. Così il pensiero del direttore dell’Alpino è andato subito a Nikolajewka, quasi a voler continuare il discorso iniziato quel pomeriggio di giugno del 2014. “La memoria di una guerra stolta – ha detto monsignor Fasani – voluta per ragioni di potere, con soli 17 treni a riportare a casa i nostri alpini sopravvissuti contro i 200 che erano serviti per portare in Russia le penne nere”.
Ogni guerra lascia sempre grandi ferite. E don Bruno l’ha ricordato riferendosi ai conflitti dei nostri giorni, ai bambini del Medio Oriente costretti a convivere quotidianamente con le guerre. E con le armi.
Poi un accenno all’ingresso, settant’anni fa, dell’Armata Rossa ad Auschwitz “dentro quel lager voluto perché una società aveva deciso che una razza non aveva alcun valore” e l’invito ad aiutare le nuove generazioni a essere capaci di “fare memoria” e a interrogare il passato, “perché la memoria – ha affermato – ci consente di intervenire prima che possa compiersi il disastro finale”.
A seguire, una serie di interrogativi: oggi come amiamo e come rispettiamo la vita? E quale cultura stiamo allestendo quando diciamo che non è giusto vivere se non si è perfetti? E ancora: cosa insegniamo ai nostri ragazzi? E le prime risposte: “Occorre farli ragionare, i giovani, e aiutarli a ritrovare appunto il senso della memoria, perché in caso contrario progetteranno un futuro senza pensare alle conseguenze di ciò che fanno nel presente”.
Il futuro va progettato, insomma. Ed è auspicabile che il futuro non sia quello di società dove vi siano soltanto desideri e interessi soggettivi, “perché quelle – ha sottolineato monsignor Bruno Fasani – sono società destinate a sgretolarsi”. “E perché quella – ha aggiunto – sarebbe la fine della democrazia”.
Perché, però, oggigiorno la cultura della memoria non viene coltivata? “Perché andiamo tutti di fretta – ha risposto il direttore dell’Alpino – quando invece dovremmo tornare a ragionare e ad ascoltare tutti, compresi gli anziani, perché quando si sente amato l’anziano si apre e ti dà la sua ricchezza”.
A rubarci la memoria è poi la cultura del digitale, sempre più esasperata, “perché questa è una società provocata dal presente, una società – ha osservato sempre monsignor Fasani – in cui i giovani andrebbero sganciati dal falso paternalismo degli adulti e non dovrebbero neppure essere dispensati dall’assumersi le loro responsabilità”.
“Già – ha aggiunto – è nostro dovere responsabilizzare le nuove generazioni e non trattarle come fossero realtà esclusivamente decorative della società”.
Don Bruno ha quindi sollecitato a non abbandonare i ragazzi al pessimismo. “Siamo tutti in crisi – ha osservato – ma dobbiamo spiegare loro che anche se a volte molte luci si spengono alla fine c’è comunque una luce”.
E al presidente dell’Ana di Lecco, Marco Magni, che ricordava il ruolo e i valori delle penne nere il sacerdote-alpino ha detto: “Noi alpini abbiamo il vantaggio di essere un gruppo e di essere portati costantemente al confronto e al richiamo dei nostri ideali”.
Poi un riferimento a Papa Francesco. “Il suo grande merito – ha osservato – è aver saputo rimettere al centro la persona e infatti non dobbiamo mai dimenticarci dell’uomo, perché anche il Vangelo è nato sulla strada e non dentro un tempio”.
Infine l’ultimo atto della serata. Monsignor Bruno Fasani è sceso in platea e ha accompagnato sul palco Franco Raffaldi, 91 anni il prossimo 23 aprile, uno degli internati militari italiani di Mandello che in quanto tale ha conosciuto il campo di concentramento. “Hai visto il peggio – gli ha detto – ma hai avuto la forza di restare un uomo e di questo ti siamo grati”.
DI SEGUITO, ALTRE IMMAGINI DELLA SERATA AL “DE ANDRE'” DI MANDELLO CON MONSIGNOR BRUNO FASANI