LECCO- Un percorso fra l’arte e l’identità, alla scoperta del concetto di artista e della sua collocazione nel tempo moderno, in un’Italia che sembra togliere l’ossigeno all’estro, anzichè alimentarlo, un percorso lungo il quale, Philippe Daverio, ospite sabato sera, 7 maggio, al Teatro Sociale di Lecco, ha guidato una sala gremita attraverso la chiave della più sagace ironia, a cui ha più volte fatto ricorso, per toccare i grandi temi della promozione dei beni culturali nel nostro Paese, e non solo.
L’incontro nasce in occasione della mostra di Gaetano Orazio, “A grandi bracciate nell’oscurità”, visitabile proprio in questi giorni e fino al 4 settembre pressso il Palazzo delle Paure, e si inserisce, come postilla, al ciclo di incontri di “Leggermente” in collaborazione con Assocultura, Confcommercio e l’amministrazione comunale lecchese.
A mediare il dibattito, Gianfranco Colombo, che, quasi a bruciapelo, ha posto subito al famoso critico d’arte, la questione più spinosa: “In arte bisogna lottare per avere un’ identità?” la risposta è spiazzante, quanto tristemente risaputa, “In Italia bisogna sopravvivere! L’Italia detesta i giovani e i creativi, la repressione dell’artista è all’ordine del giorno”, ciò offre lo spunto per sviscerare temi quali il ruolo giovanile nella nostra Penisola, “io vorrei che i ragazzi facessero politica- ha affermato Daverio – per entrare nel pasticcio della realtà complessiva, se uno se la cava in un consiglio comunale, allora sarà pronto a tutto!”
Dai giovani agli artisti, coloro i quali hanno la capacità di avvertire quel lasso di tempo, minimo, impercettibile prima del Big Bang, “ne esistono di tre tipi- ha spiegato- gli artigiani, che hanno una funzione prettamente sociale, i guru, che sono rari e un po’ pieni di sé e poi ci sono gli sciamani, che sono dei disperati in fondo a un bosco e bisogna andare a stanarli”. Gaetano Orazio, è uno sciamano, “non è un pittore, è uno che fa delle robe, non sappiamo se le fa bene, sappiamo che le fa importanti”.
“Fino alla Prima Guerra Mondiale eravamo il paese più bello, ma anche il più povero d’Europa, in 100 anni siamo meno poveri, ma molto più brutti. Io ci spero che fra 50 anni potremo essere ricchi e belli”; così è stato toccato il molto discusso tema riguardante gli investimenti nazionali nel campo dei beni culturali, “la Francia e la Germania spendono molto di più di noi”, da una prospettiva più ampia, per poi stringere il punto d’osservazione attorno al sud Italia, “Potevamo immaginare uno sviluppo diverso per il nostro sud e invece l’abbiamo massacrato, io sono un affascinato di questioni meridionali, è una delle grandi risorse del domani, possiamo immaginare un recupero, ma deve esserci la volontà di riscatto, più consapevolezza e spendere in arte”, di qui la considerazione del maestro, con la quale si è conclusa la serata, a proposito proprio della città di Lecco; ” questo è un festival significativo e utile, è un segno che l’Italia sta cambiando, l’unico che non lo sa è Montecitorio, vedete? E’ più importante il teatro!”.