LECCO – Una figura femminile, magra, vestita con una una vestaglia bianca e il rumore di un treno in sottofondo: si apre così lo spettacolo “Der doktor” andato in scena giovedì sera presso il teatro della società di Lecco per onorare il Giorno della Memoria, dedicato dal sindaco di Lecco Virginio Brivio a Pino Galbani, sopravvissuto lecchese ai campi di concentramento recentemente scomparso.
Alla sinistra del palco un medico, sotto il camice nasconde una divisa delle SS, si siede alla scrivania e si prepara ad essere intervistato; così l’intervista diventa l’espediente per avviare un vero e proprio monologo, interrotto solo dalla testimonianza di una giovane prigioniera che all’angolo destro del palco, rinchiusa in una gabbia, racconta la sua esperienza nel lager.
“3 anni fa la mia vita è cambiata sono stato nominato, per ordine del Furer, ufficiale medico del campo di sterminio – esordisce il medico – al campo il caos regnava sovrano, per questo motivo capì che era necessario mettere ordine: decisi quindi di sfruttare i copri per la ricerca medica, per poter garantire alla razza ariana un mondo migliore”.
Marco Mazari interpreta magistralmente un medico senza scrupoli, insensibile davanti agli orrori delle sue sperimentazioni, che individua nei giovani e nei bambini i donatori di corpi per la “ricerca”. Il medico li definisce “volontari” “poiché sono loro che si offrono alla sperimentazione; infatti non oppongono alcuna resistenza quando li chiamiamo, per questo motivo non possiamo definirli vittime”.
Barbara Sirotti è la giovane donna deportata che in un lungo grido di disperazione denuncia la dura vita del lager dove “ogni uomo diventa una bestia che lotta per avere un pezzo di pane e la dignità personale di ognuno di noi è completamente annullata, diveniamo un semplice numero di matricola che passa il giorno a lavorare e la notte ad ascoltare le urla delle madri che vedono i loro piccoli strappati dalle loro braccia”.
Un’interpretazione perfetta che ha lasciato il pubblico senza parole, facendo piombare l’intero teatro nel silenzio più totale, un silenzio surreale che ha portato ogni singolo spettatore a riflettere sulle atrocità dei lager.
Durante la seconda parte dello spettacolo altri due attori formidabili, con i loro rispettivi monologhi, hanno guidato la lunga riflessione sulla Giornata della memoria: Ketty Capra ha interpretato un’attrice polacca unica sopravvissuta della sua giovane famiglia al campo di concentramento che ogni sera si dispera ricordando suo marito e suo figlio morti nel campo, ma al contempo cerca di voltare pagina e rinascere in un mondo che però sembra ricordale, ogni giorno, il suo passato, durante i suoi viaggi infatti moltissime donne le chiedono “ma è vero che sei sopravvissuta ad Auschwitz?” .
Carlo Zerulo invece è un quarantaquattrenne nel 1980, figlio di un rapporto consumato all’interno del lager, racconta il suo inferno di figlio rifiutato, confinato nel mondo dell’eroina, tormentato dal fantasma della madre che ogni giorno gli ricorda di essere un figlio “bastardo e abbandonato da una madre fuggita da Auschwitz”.
Al termine della rappresentazione sullo sfondo del palco sono stai proiettati i maggiori campi di sterminio e i corrispettivi numeri delle vittime, numeri alti che fanno riflettere e che testimoniano, ancora una volta, la crudeltà dell’essere umano.
Uno spettacolo che ha colto in pieno l’obiettivo per cui era stato voluto e pensato: “riflettere su un capitolo nero della nostra storia causato dalla paura del diverso, una paura che anche oggi, purtroppo, domina i nostri giorni, un timore che dobbiamo combattere con il dialogo e la convivenza” come ricordato dal presidente della Provincia Polano.