Lecco rende omaggio all’artista Tino Stefanoni con una mostra antologica

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Tino Stefanoni

 

LECCO – Dal 28 maggio al 10 settembre la Città di Lecco dedica Tino Stefanoni (Lecco, 1937) una mostra antologica che si svolgerà negli spazi di Palazzo delle Paure, rendendo così omaggio al suo più noto artista vivente. La mostra, che verrà inaugurata sabato 27 maggio, alle 18, è curata da Barbara Cattaneo e Sabina Melesi con testo critico di Valerio Dehò. 

Grazie ai prestiti da parte dei collezionisti di Lecco e Provincia la mostra conterà per lo più opere inedite, mai esposte prima in spazi pubblici.
“Una mostra antologica di grande importanza – come dichiara l’assessore alla Cultura Simona Piazza – con la quale l’Amministrazione e la Città di Lecco vogliono celebrare la carriera artistica di Tino Stefanoni, artista lecchese di fama internazionale che oltre all’ingente opera portata avanti nei suoi anni di carriera non ha dimenticato uno sguardo di attenzione alla sua città, collaborando attivamente non solo sotto il profilo artistico, ma anche rendendosi disponibile per iniziative di beneficenza a scopo sociale. La mostra, che per la prima volta prevede la collaborazione con un importante museo non del nostro territorio, verrà poi replicata alla Reggia di Caserta sotto la guida del direttore Felicori. Un prestigio non solo per l’opera del maestro Stefanoni, ma anche e soprattutto per la Città di Lecco che ha così l’opportunità di far conoscere i propri musei e collezioni fuori dal territorio locale.  Non mancheranno gli eventi collaterali alla mostra, le visite guidate e la serata di dibattito con il critico Valerio Dehò che avremo il piacere e l’onore di leggere sul catalogo della mostra con il suo testo critico introduttivo. Possiamo definire questa la mostra di punta promossa a Palazzo Paure nel corso del 2017.

Il percorso espositivo cronologico si apre con le opere nelle quali si avvertono le suggestioni della Metafisica di Carlo Carrà che Stefanoni predilige rispetto a quella di Giorgio de Chirico per la sua capacità di far scoprire la bellezza nascosta nella vita quotidiana. Nel ciclo dei Riflessi (1965-1968), i piccoli rilievi tondi diventano la base per dipingere dei paesaggi in miniatura, in cui già si percepisce la cura al dettaglio che diventerà nel tempo una delle cifre più caratteristiche dell’artista lecchese.

A cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, Stefanoni intuisce per primo la possibilità di utilizzare la segnaletica stradale nella rappresentazione della realtà, in maniera ironica e distaccata. Nascono così i Segnali stradali regolamentari, al cui interno sono inseriti oggetti-icona che rispondono a quell’esigenza linguistica, propria di quegli anni, di far conquistare all’elemento visivo, territori che appartenevano alla parola.

Queste immagini ritornano protagoniste nelle tele degli anni ’70 che mostrano una ‘metafisica senza mitologia’ con oggetti comuni come matite, mestoli, scope, flaconi, giacche, e altro, disposti su ordinate fila, sovrapposti o affiancati gli uni agli altri che dialogano con lo spazio vuoto o segnato da linee geometriche.È il caso del ciclo delle Piastre, guida per la ricerca delle cose (1971), sculture che rispettano la bidimensionalità del disegno o della pittura o delle Memorie (1975-1976) dove le tracce degli oggetti sono replicati dai segni lasciati dalla carta carbone. In questi lavori, il richiamo alla Pop Art svanisce a favore del rigore dell’arte concettuale, alla quale Stefanoni si avvicina già alla fine degli anni ‘70 con Elenco di cose (1976-1983), una serie quadri realizzati con la lente d’ingrandimento, dove soggetti minimali e quotidiani, estranei alla tradizione della pittura come una cucina a gas o una pinza, diventano protagonisti di una ritrattistica quasi maniacale. A questa, seguirà quella delle Apparizioni (1983-1984) in cui domina l’essenzialità della linea e la distanza dal colore, con immagini impalpabili come colte attraverso un cielo nebbioso.

Come afferma Valerio Dehò, autore del testo in catalogo, Tino Stefanoni non adopera dei simboli, non vuole far aprire le porte all’ignoto o dell’inconoscibile. La sua apparente freddezza racchiude una passione per tutto ciò che di semplice l’uomo sia riuscito a creare, la sua arte ha pochi coinvolgimenti emotivi in questa fase proprio per l’essenzialità della disciplina platonico-cartesiana ma presuppone la complicità dello spettatore, la sua capacità di farsi sorprendere dall’ovvietà come strada per rileggere l’intera realtà. Il lavoro di Stefanoni è cristallo di rocca da scaldare con lo sguardo.

Dal 1984, con Senza titolo, il colore racchiuso dalla linea nera caratterizza le nature morte e le vedute, mai la figura umana. Sono ambientazioni nelle quali Stefanoni recupera, senza mitizzarla, la Metafisica, ma in cui è sempre presente la memoria della lezione di eleganza e rarefazione del Beato Angelico, al quale spesso l’artista si richiama per la passione dell’osservazione, legata alla scoperta delle geometrie segrete tra gli oggetti e gli elementi del paesaggio.
Le sue casette, i suoi alberi sono oggetti ridotti all’essenziale, alla semplicità di una forma riconoscibile, quasi illustrativa. Sono elementi della storia dell’arte italiana che diventano icone e per questo devono essere comprensibili, proprio perché hanno dei valori diversi dalla semplice rappresentazione.
I paesaggi o le nature morte, che costituiscono gran parte del lavoro di Stefanoni, non vogliono spiegare o raccontare, quanto rappresentare uno stato delle cose.
Anche le sue più recenti Sinopie, richiamando la tecnica dell’affresco, riflettono questo suo inserimento nella classicità del dipingere e aprono a forme di azzeramento del colore e dei contorni dei paesaggi, fino a diventare semplice pittura, sempre alla ricerca dell’essenzialità.

Accompagna la mostra un catalogo edito dal Comune di Lecco, nella Collana di studi e ricerche del Sistema Museale Urbano Lecchese, Materiali, con i testi istituzionali e un saggio critico di Valerio Dehò.