“Catalogo donne single di Lecco”: ecco perché è illegale. Risponde l’esperto

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La copertina del "Catalogo delle Donne Sigle di Lecco" il caso aveva sollevato un grosso polverone e anche la trasmissione Le Iene

LECCO – Un vero e proprio caso quello scoppiato in città relativo al “Catalogo delle donne single di Lecco” venduto online e apparso anche nella “versione monzese”. Notizia che ha varcato i confini locali, per essere ripresa da testate nazionali come La Repubblica e il Corriere della Sera con l’interessamento persino di Radio24 del Sole 24 Ore che ci ha interpellati con un’intervista in diretta al direttore Lorenzo Colombo.

Il caso dopo il tamtam mediatico è finito sul tavolo della Procura della Repubblica che ha avviato un’indagine mentre in Questura sono fioccate le querele da parte di alcune delle donne che, loro malgrado, sono finite “in vetrina”. Anche la Provincia di Lecco si è mossa per voce della consigliera di Parità Adriana Ventura che ha stigmatizzato quanto accaduto, valutando azioni a tutela delle donne coinvolte e lanciando loro un appello per fare fronte comune.

D’innanzi a quanto accaduto, in molti si sono domandati: “E’ tutto legale?”, “Il diritto alla privacy dove sta?” e ancora “Pur essendo pubblici, i profili Facebook si possono catalogare e vendere?”.

Come anticipato nei giorni scorsi, per rispondere a queste domande e fare chiarezza sul caso, ci siamo rivolti ad un esperto chiedendo lumi a Raimondo Motroni, Avvocato Cassazionista e Professore incaricato di Diritto delle Nuove Tecnologie del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Sassari.

I FONDAMENTI NORMATIVI – “Partiamo con ordine, quindi dal fondamento normativo. Va innanzitutto ricordato ai lettori che il Diritto di Protezione dei Dati Personali ha rilevanza costituzionale. A dirlo è la Carta dei Diritti dell’Unione Europea, articolo 8: ‘Protezione dei dati di carattere personale’. Quindi, i cittadini dell’Unione Europea hanno il diritto di protezione dei dati personali. Questo è il primo elemento normativo da tenere presente.
Il secondo, di successiva derivazione, è il nuovo Regolamento Europeo di Protezione dei Dati Personali, articolo 279 del 2016, già entrato in vigore ma che sarà applicabile in via diretta a tutti i Paesi UE a partire dal maggio 2018 per consentire a tutti di adeguarsi alla normativa. Pertanto, alla data odierna, si applica il Codice per il Trattamento dei Dati Personali ovvero il così detto Codice sulla Privacy (Decreto Legislativo numero 196 del 2003).
Va poi aggiunto che il principio generale da tenere ben presente quando parliamo di privacy è il principio fondante per cui la persona ha il diritto ad un’autodeterminazione informativa. In sostanza, noi manteniamo potere sulle nostre informazioni personali e noi decidiamo cosa devono e cosa non devono sapere gli altri”.

CHI HA VENDUTO I DATI HA INFRANTO LE REGOLE? – “Fatte queste premesse, veniamo al caso specifico del Catalogo.
Da un lato abbiamo l’autodeterminazione informativa per la quale, chi vuole un mio dato personale deve chiedermelo e, se do il consenso, può usarlo (ovviamente ci sono delle eccezioni, come nel caso dell’attività giornalistica soggetta ad precisa regolamentazione); dall’altro lato abbiamo delle persone che, sul proprio profilo Facebook, hanno reso pubblici alcuni di questi dati personali, dicendo dove abitano e qual è il loro stato civile. Quindi, in questo caso la domanda spontanea è: chi li ha presi e venduti ha infranto le regole? Salvo approfondimenti, sembrerebbe di sì, le ha infrante”.

COSA DICE IL GARANTE DELLA PRIVACY – “Il Garante della Privacy, dal 2001 a oggi, è chiaro su questo aspetto e lo ha ribadito anche nel 2013 dicendo che: dei dati personali, resi pubblici nella realtà virtuale, terze persone non possono farne ciò che vogliono, in quanto hanno una finalità personale e quindi non si possono estrapolare e usare per scopi commerciali. Qualora volessi utilizzare quel dato lo potrei utilizzare solo se il mio utilizzo corrisponde alla finalità per le quali l’utente l’ha reso pubblico.
Vi è qui una distinzione da fare all’interno degli stessi dati personali. Vi sono i Dati Comuni, quelli che attengono agli aspetti identificati del soggetto: residenza, codice fiscale, eccetera e poi i Dati Sensibili, che sono informazioni che riguardano aspetti intimi della persona: orientamento sessuale, origini etniche e razziali, credo religioso, fede politica e stato di salute.
Una particolarissima attenzione meritano poi i dati riferiti a minori (specie se infrasedicenni), in quanto si tratta di soggetti meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e dei loro diritti con riguardo alla privacy nelle reti telematiche
Ove nel caso in esame fossero coinvolti anche queste ultime categorie di dati vi sarebbero norme più severe che andrebbero applicate”.

MANCATO RISPETTO DEI PRINCIPI GENERALI – “Infine, vi deve essere anche un rispetto dei principi generali, come la correttezza, trasparenza e pertinenza. Cosa che in questo caso sembrerebbe venuta meno rispetto alle donne ignare coinvolte nella pubblicazione dei dati personali. Infatti, un soggetto corretto è un soggetto che rispetta le norme, anche non giuridiche, che caratterizzano il contesto sociale ed economico in cui si vive. Quindi, non bisogna ledere gli interessi di altri anche se non esiste una norma specifica che vieti il comportamento lesivo”.

VENDITA ILLEGITTIMA – “In questo caso specifico però, ci sono ulteriori elementi di gravità, in quanto il soggetto, che ha realizzato il catalogo, lo ha realizzato estrapolandolo da un database di primo livello, creandone uno di secondo livello. Ovvero, ha preso un dato pubblico, lo ha estrapolato dal contesto ed ha organizzato una nuova banca dati. Quindi, sfruttando la geolocazione, il nome della persona e il suo stato civile ha creato una nuova informazione ottenendo un elenco di donne residenti a Lecco e single. Questa nuova banca dati, che definiamo di secondo livello, ha una finalità diversa da quella originale e viene inserita in nuovo contesto, quello appunto delle donne ‘sole’ o ‘single’.
Non solo, ma sembra che il catalogo venga venduto (quindi si rilevano finalità commerciali) accettando il rischio che l’acquirente creda che i dati ivi contenuti siano relativi a donne single e quindi, in qualche modo, «disponibili a fare nuove conoscenze”.

REATO E RESPONSABILITA’ PENALI – “In questo caso tocchiamo un altro diritto che è quello della dignità e della reputazione della donna. Coloro che sono state inserite nel catalogo, loro malgrado, potrebbero essere contattate da persone che si palesano con le più svariate intenzioni.
Questo elemento, ulteriormente grave, pone il problema non più esclusivamente sull’aspetto della violazione della privacy ma potrebbe avere forse anche una rilevanza penale che sarà compito della Procura della Repubblica verificare.