I dati evidenziano l’impatto positivo del part time nella crescita dei posti di lavoro
Più assunzioni che licenziamenti tra le donne in provincia di Lecco e Como
LECCO – I dati relativi all’avviamento e cessazioni al lavoro femmine dei primi nove mesi del 2019, del sistema informativo Quadrante Lavoro di Regione Lombardia, per le province di Como e Lecco, evidenziano un saldo positivo nell’area lariana: +6,1% nel lecchese è la differenza positiva tra avviamenti (12.921) cessazioni (12.13) di rapporti di lavoro; +9,2% nel comasco (avviamenti 24.375; cessazioni 22.127)
“Il contributo maggiore al saldo positivo tra avviamenti e cessazione arriva dai contratti part time” spiegano dal sindacato Uil riportando i dati relativi sempre ai primi nove mesi dell’anno per Lecco (avviamenti part time 5.351; cessazioni part time 4.999; +6,6%) e per Como (avviamenti part time 9.788; cessazioni part time 8.826; +9,8%)
Positivo, sempre al femminile, anche il saldo tra avviamenti e cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo pieno nei primi nove mesi del 2019, a Lecco (avviamenti 7.570; cessazioni 7.135) e a Como (avviamenti 14.587; cessazioni 13.301; + +8,8%)
Part time il 41% dei contratti al femminile
“Quello che è maggiormente evidente dai dati – spiegano dalla Uil – è la differenza che c’è nel rapporto percentuale tra part time e tempo pieno tra gli avviamenti tra donne e uomini”.
Il contratto di lavoro part time gioca un peso enorme nell’occupazione femminile: a Lecco tocca il 41,4% dei contratti tra le donne e il 17% tra gli uomini, a Como il 40,16% tra le donne e il 23,57% uomini.
Uil. “Part time aumenta le differenze di salario”
“Il part time viene spesso evocato come una delle forme di flessibilità utili per aiutare le donne a restare nel mercato del lavoro, soprattutto quando le stesse desiderano dedicarsi alla gestione e cura dei figli e più in generale della famiglia. Apparentemente un aiuto – spiegano dal sindacato – Ma il part time è una delle cause maggiori che porta al gender pay gap (differenziale salariale donna/uomo), cioè un salario medio più alto per gli uomini rispetto alle donne. Chi lavora part time di solito fa un lavoro meno qualificato di chi lavora full time (e quindi è meno pagato)”.
“Spesso – scrivono dalla Uil – quindi, il part time non è una scelta ma un obbligo per le donne, ed è per questo che ci ritroviamo una massa di lavoratrici, formalmente occupate, ma in realtà intrappolate in lavori scarsamente qualificati, sotto-pagati e di poca soddisfazione e con pensioni molto basse. Pertanto, l’enorme diffusione del part time tra le donne rischia di mantenere se non addirittura aumentare le differenze economiche e sociali tra uomini e donne. C’è bisogno di mettere in campo una serie di azioni per eliminare le disuguaglianze salariali e sociali che vivono le donne. Innanzitutto, è essenziale un cambiamento culturale nel quale si affermi la parità dei doveri e responsabilità tra uomini e donne nei lavori di cura e gestione della famiglia. Nelle famiglie non deve esserci un uomo orientato alla carriera e una donna che sacrifica la propria per permettere ciò”.