“La Gioconda sotto la tovaglia di mia nonna” della scrittrice Germana Marini
Parente vicina dell’uomo che rubò la Monna Lisa, racconta la ‘vera’ versione del celebre furto
LECCO – Una storia rimasta celata per oltre un secolo, nota solo ai parenti stretti e mai raccontata fuori dall’ambiente familiare, un veto che voleva preservare i protagonisti della vicenda, ormai scomparsi: il furto della Monna Lisa, o meglio la versione reale di quel celebre furto e dell’uomo che nel 1911 riuscì a rubare il capolavoro di Leonardo dal Louvre di Parigi.
A rivelarla è la scrittrice lecchese Germana Marini, che di libri ne ha pubblicati parecchi nella sua carriera ma il racconto più prezioso lo serbava in un cassetto e ha deciso solo ora di renderlo noto in “La Gioconda sotto la tovaglia di mia nonna” appena pubblicato con la Casa Editrice Carabba.
Quella nonna, di parte paterna, si chiamava Giuseppina ed è la donna a cui Vincenzo Peruggia, il ladro della Gioconda, portò l’opera d’arte trafugata dal museo parigino.
Non un gesto patriottico – come era stato definito – per riportare in Italia il magnifico quadro di Leonardo, bensì un gesto d’amore: con quel regalo, Peruggia avrebbe voluto che la cugina Giuseppina intercedesse per lui con la cugina di quest’ultima, Annunciata Rossi, della quale si era invaghito e che diventerà in seguito sua moglie.
Una follia dettata dunque dal sentimento che avrebbe spinto l’uomo, immigrato in Francia, a sottrarre il capolavoro alla fine del turno di lavoro al museo dove era stato arruolato come imbianchino, a trattenere l’opera nella sua stanza affittata nella capitale francese e a trasportarlo poi in treno in Italia, fino al piccolo paese Dumenza, in provincia di Varese, dove viveva la cugina Giuseppina.
Un regalo che stupì certo la donna, ma per la pazzia del gesto compiuto dal Peruggia e per le conseguenze che avrebbero potuto inguaiare per entrambi:
“Nell’urgenza di nascondere il quale Giuseppina l’aveva celato per giorni, ponendo la tela sotto la tovaglia in velluto verde damascato, stesa sul tavolo, in tinello. La stessa ove aveva depostole tazzine del caffè, da lei con trepidazione servito alle guardie preposte all’infruttuoso recupero – spiega la scrittrice – L’ingenuo Vincenzo era frattanto incorso in molteplici errori, che ne avevano decretato l’arresto, e quantunque dichiarato ‘minorato di mente’, non aveva potuto sottrarsi a una, quantunque mite, condanna”.
Germana Marini ricostruisce la vicenda da lei appresa nei minimi dettagli dalla zia Jole, testimone diretta degli eventi circa i quali non si era fatta fino ad oggi chiarezza.
“Se al giro di boa di una non breve esistenza, con una quarantennale esperienza letteraria e giornalistica alle spalle, ho deciso di non tacere più sulla reale motivazione del ratto, circa la quale nel corso di più di cent’anni tanto si è discusso, è stato al pensiero che questo segreto, che da troppo tempo custodisco, me lo sarei ineluttabilmente portato nella tomba” scrive Germana nell’incipit del testo.
Una storia ora in libreria e tra i misteri che il testo percorre c’è anche quello dell’autenticità della Monna Lisa esposta ora al Louvre, un giallo dovuto al travagliato viaggio dell’opera nelle mani del suo ladro.