Intervista allo psicologo e psicoterapeuta lecchese Enrico Bassani
“Tutto ciò che stiamo dicendo non è per demonizzazione le nuove tecnologie”
LECCO – Ieri è stata celebrata la “Giornata Mondiale della Disconnessione” (da intrnet), la Sconnessi Day. Un modo per sensibilizzare le persone, soprattutto giovani e giovanissimi, dalla dipendenza della rete, ritrovando tempo, spazi, luoghi e socialità non intermediata dalla tecnologia con le altre persone.
E’ invece di pochi giorni fa la notizia giunta dal Regno Unito, di una circolare “tranchant” che detta le nuove linee guida con cui si impone agli studenti minori di 16 anni di tenere i cellulari spenti per l’intera giornata scolastica, compresi la pausa pranzo e gli intervalli.
A onor del vero, anche il Ministero dell’Istruzione e del Merito sta per definire le nuove Linee guida sull’educazione che, da quanto è traplato, vieteranno l’utilizzo degli smartphone nelle scuole d’infanzia, primarie e secondarie di primo grado, mentre per le scuole secondarie di secondo grado si consiglierà l’utilizzo solo per scopi didattici.
Un tema che abbiamo affrontato interpellando gli “addetti ai lavori” (vedi articolo) e che abbiamo voluto approfondire con un focus affidato allo psicologo e psicoterapeuta lecchese Enrico Bassani.
Ipotizzando che una decisione così rigida come quella inglese venga presa anche in Italia, che effetti potrebbe sortire nel mondo scuola e negli studenti. Che dinamiche genererebbe?
Partiamo da una constatazione ovvia: la scuola è un ambiente di relazioni, condivisioni, insegnamenti, conoscenza, sapere. È lo spazio in cui un ragazzino, e poi un pre-adolescente e un adolescente, incontra i grandi maestri della propria cultura. Imparerà l’arte, la matematica, la filosofia, la fisica. Incontrerà saperi, discipline (con le rispettive provenienze storiche e sociali), e soprattutto storie di vita, vicende umane, di persone e di popoli, e poi vissuti, emozioni, scritte e narrate attraverso ‘exempla’ in cui riconoscersi, ognuno a proprio modo. A scuola ogni studente viene aiutato a sviluppare uno spirito critico che gli permetta di orientarsi nel mondo, di compiere le proprie scelte, di ‘diventare ciò che è’, come avrebbe detto Nietzsche. Non a caso nei testi di Platone ricorre spesso l’indicazione per cui l’insegnamento è una dedizione, un’attenzione alla complessità, irriducibile, della persona. Platone ne parla come di un atto d’amore. Senza questa componente (l’amore per gli altri e per ciò che si cerca di trasmettere) non vi è insegnamento autentico ma semplice passaggio di informazioni.
Se partiamo da questa constatazione, tutto ciò che, a scuola, non è funzionale ad una crescita personale in termini etici, emotivi (ossia di espressione di sé), relazionali, e via dicendo, non è solamente inutile, ma è addirittura d’intralcio. Guardare l’ultimo video dello youtuber di turno tra una lezione e l’altra, chattare con gli amici, guardare più o meno casualmente informazioni da Google in base a solleticazioni momentanee, è semplicemente un modo per divertirsi e distrarsi. E non c’è nulla di male, ci mancherebbe. Però ci sono infinite occasioni per esercitare queste opportunità di divertimento e di distrazione. Non penso sia necessario vi siano anche a scuola. A scuola si impara a differenziare, a dare un peso specifico a ciò che si incontra, ad esercitare l’attenzione per trarre tutto ciò che un incontro (con Dante, Platone, il teorema di Pitagora o con le provette del laboratorio di scienze) può offrire.
In che modo questa limitazione dell’uso del telefonino potrebbe influenzare le abitudini digitali degli studenti anche al di fuori dell’ambiente scolastico?
“In nessun modo. I ragazzi usano liberamente gli strumenti che hanno a disposizione per le loro finalità in rapporto ai differenti contesti. E va bene così. La scuola – questo sì – potrebbe dare loro strumenti aggiuntivi per sapersi orientare anche nel mondo digitale; ossia per distinguere informazioni verificate dalle fake news, per riconoscere le fonti, ripercorrere la genealogia di una informazione, un contenuto, un sapere”.
Considerando che l’uso dei cellulari per i giovani è uno strumento di socializzazione, come cambierebbe il clima sociale all’interno delle scuole e fra gli studenti stessi?
“Ne vedo solo benefici: ragazzi che parlano tra loro, che si guardano negli occhi, che riconoscono la mimica dei loro amici, e che, osservandoli, ne colgono sfumature, fragilità, punti di forza… insomma, persone che entrano autenticamente in relazione tra loro e si conoscono. Vale molto di più uno sguardo, nel capire chi ho di fronte, che mille messaggi whatsapp”.
Potrebbe essere un modo per ritrovare, riscoprire, rieducare a una socializzazione fatta di relazioni dirette e non intermediate dalla tecnologia? E soprattutto avrebbe senso? Perché?
“Siamo differenza ed è tutto quello che sappiamo”, amava dire Michel Foucault, uno dei grandi maestri del Novecento. A questa differenza, degli uni con gli altri, dobbiamo esporci continuamente per non chiuderci, per rimanere fertili ed interessati, per dare e darci la possibilità di esprimerci. L’alternativa è la paura, la chiusura, il terrore della differenza e dell’altro. È questo, a mio parere, il rischio che corrono le nuove generazioni. I software e gli algoritmi che replicano infinitamente contenuti selezionati individualmente per soddisfare le disposizioni, i gusti, le opinioni e le conoscenze degli utenti-consumatori non fanno che incrementare esponenzialmente il rischio di una chiusura di ciascuno in un mondo simil-autistico”.
Quali potrebbero essere gli impatti psicologici ed emotivi sui ragazzi?
“Ripeto: ne vedo soprattutto i benefici, nel senso di favorire una reciprocità empatica che i ragazzi stanno sempre più perdendo”.
E’ possibile che questa limitazione sortisca effetti positivi sull’apprendimento e sulla concentrazione in classe?
“Questa è una certezza. Già trent’anni fa il professor Alberto Mazzocco, docente di Psicologia del Pensiero all’Università di Padova, sottolineava il fatto che i fattori determinanti dell’apprendimento sono essenzialmente tre: attenzione, interesse e rielaborazione personale. Maneggiare il cellulare tra una lezione e l’altra (o addirittura durante le lezioni) sicuramente non facilita l’attenzione, non stimola l’interesse verso ciò che si sta affrontando e tantomeno una rielaborazione personale.
Tutto ciò che stiamo dicendo non è per demonizzazione le nuove tecnologie, tutt’altro. Offrono possibilità grandiose per tutti noi; ma è opportuno saperle padroneggiare con destrezza alla luce anche dei pericoli che possono portare. Del resto è ciò che, a nostra volta, abbiamo imparato a scuola dai nostri maestri”.