CASSINA VALSASSINA – E’ stato uno tra i migliori alpinisti europei degli anni Cinquanta e Sessanta, come dire l’epoca d’oro del sesto grado superiore. Arrampicatore di razza, seppe esprimersi ai massimi livelli tanto sulla roccia dolomitica quanto sul terreno d’alta quota delle Alpi Occidentali.
Classe 1935, originario di Mandello e ora residente a Cassina Valsassina, Giorgio Redaelli ha festeggiato nei giorni scorsi non l’ennesimo traguardo della sua carriera alpinistica bensì quello, altrettanto significativo, dell’ottantesimo compleanno.
Per l’occasione sono stati in tanti a stringersi idealmente a lui e a festeggiarlo con un pensiero, uno scritto, una forte stretta di mano. O semplicemente con un messaggio augurale. E i suoi familiari non gli hanno fatto mancare la torta di compleanno, con tanto di “80” in bella vista.
C’erano sua moglie Aurora, i figli Nicoletta (con il marito Gianni) e Mauro (con Stefania). Poi le nipoti Camilla, Carolina, Caterina, Giulia e Lodovica e suo fratello Angelo, con la moglie Mariarosa.
Una festa che Redaelli conserverà nel suo personale album dei ricordi, accanto a quelli delle sue più significative imprese alpinistiche ma con un posto particolare nel suo cuore.
Molti, si è detto, coloro i quali gli hanno augurato un lieto compleanno. Tra loro Liliana e la famiglia della Capanna Trieste al Civetta, gli amici del rifugio Vazzoler, Roberto Sorgato, Franco Bristot e Antonella Minonzio. Poi quelli del Golf club Lecco e il mandellese Luigi Venini, amico di vecchia data.
Una vita di alpinismo ma non solo, quella di Giorgio, che ha praticato (e continua a praticare) anche altre discipline sportive, a partire appunto dal golf.
La montagna resta in ogni caso il suo grande amore. Era il 1963 quando Redaelli scalò in prima invernale la via Solleder-Lettenbauer, sulla parete nord-ovest del Civetta. Una salita entrata nella storia dell’alpinismo, che lui “firmò” con il coetaneo Ignazio Piussi (morto nel 2008) e con Toni Hiebeler, classe 1924, scomparso nel 1984 in un incidente in elicottero mentre si trovava sulle Alpi Giulie per una spedizione fotografica.
“Una delle più belle giornate dell’alpinismo si è oggi conclusa nel modo più entusiasmante sulla Civetta. La muraglia di 1.200 metri, che nessuno aveva mai osato affrontare in inverno, è stata vinta, a poche ore di distanza, da due cordate di giovani dal cuore intrepido…”. Con queste parole, il 7 marzo 1963, il Gazzettino apriva l’articolo dedicato al “Trionfo degli alpinisti impegnati sulla Civetta”.
Il 1960 è l’anno dello spigolo est alla Torre Venezia. Ma è anche l’anno del suo matrimonio con Aurora, lecchese, conosciuta durante le salite in Grigna. Con il suo nome Redaelli, accademico del Cai, ha “battezzato” il rifugio costruito ai Piani di Artavaggio sul finire degli anni Settanta e gestito dall’affiatata coppia fino al 2006.
Quando, non più tardi di un paio d’anni fa, gli chiedemmo com’era cambiata, negli anni, la montagna, Giorgio Redaelli rispose: “La montagna è sempre la stessa. Oggi come ieri occorre avvicinarla a piccoli passi, con grande umiltà. Occorre amarla, conoscerla, ascoltarla e capirla”.
E aggiunse: “Oggi sembra prevalere la tendenza a banalizzare tutto e ovunque. La sensibilità e i sentimenti non occupano più posti importanti nella scala dei valori. Si va avanti a slogan, incuranti del fatto che l’alpinismo puro è la perfetta fusione di sentimento e forza fisica, di armonia di movimenti e di emozioni, di razionalità e di una giusta dose di coraggio”.