ABBADIA LARIANA – Giuseppe Alippi osserva tre foto che lo ritraggono accanto a Marco Anghileri, morto tragicamente quest’anno sul Bianco. Scuote la testa, il “Det”, poi guarda in basso e dice: “Marco era un grande alpinista, anzi il migliore, perché sapeva interpretare in modo moderno l’alpinismo classico”.
Accanto a quelle con Anghileri sono numerose le foto esposte, oltre a scritti, diari, grandi fotografie, libri, ritratti, tavole realizzate a matita e bozzetti creati con tecniche miste. Sì, perché quella inaugurata ieri sera ad Abbadia è un vero e proprio omaggio a Giuseppe Alippi, il “Det” appunto, lui pure un grande dell’alpinismo.
A “firmarla”, la mostra, con i loro interventi grafici e fotografici sono stati Luisa Rota Sperti, Alberto Locatelli, Giuditta Scola e Giuliano Maresi, che fu presidente dei Ragni della Grignetta. Ed è una mostra, quella che il Comune ha allestito in sala civica, che ogni appassionato di montagna dovrebbe vedere, una rassegna espositiva che abbraccia un po’ tutte le stagioni del “Det” e che potrà essere visitata oggi dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.30, da lunedì 24 a sabato 29 tutti i giorni tra le 16 e le 19 e domenica 30 novembre ancora dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.30.
“Le occasioni vanno prese al volo – ha detto ieri Laura Mandelli, assessore alla Cultura, durante la cerimonia inaugurale – e io non volevo che mi sfuggisse l’opportunità di dedicare un evento al “Det” nei giorni del suo ottantesimo compleanno”.
Ottant’anni, già. Oggi, domenica 23 novembre, è il giorno del suo compleanno. “E noi siamo qui per festeggiarlo – ha premesso Carlo Caccia prima di iniziare la chiacchierata a tutto campo con il forte alpinista – e per parlare con lui di alpinismo ma non solo”.
L’alpinismo, allora. E la Patagonia, quella terra… alla fine del mondo dove prossimamente il “Det” tornerà per la quindicesima volta. “E forse sarà l’ultima, forse…”, dice Alippi, che subito aggiunge: “In Patagonia capisci cos’è la solitudine perché la sperimenti. Le montagne dell’Himalaya assomigliano di più alle nostre e invece laggiù è tutto diverso. E ogni volta è un’esperienza magnifica”.
Parla da innamorato di quella terra e delle vette sudamericane, il “Det”, e torna sul concetto di solitudine: “Lì ascolti soltanto… il silenzio ed è qualcosa di incredibile. Poi ascolti il vento, sempre fortissimo, ma senza vento non c’è Patagonia. Così dopo un po’ ti abitui e vai avanti”.
E le montagne? “Ho tentato per quattro volte il Cerro Campana – spiega Giuseppe Alippi – l’ultima quando avevo 71 anni. Volevo arrivare in cima, ma a volte devi avere il coraggio di rinunciare ai tuoi obiettivi se vuoi morire nel tuo letto. Poi ci sono il Cerro Don Bosco, che ricordo per una salita tra le più impegnative, e il Cerro Piergiorgio, tentato nel ’94 con il Miro Ferrari”.
“Siamo rimasti 28 giorni ai piedi della parete senza poter arrampicare – aggiunge – e siamo arrivati a 350 metri dalla vetta, ma avevamo esperienza e capacità di soffrire, quella che non deve mai mancare a chi va in montagna, perché senza capacità di soffrire non si può essere grandi alpinisti”.
Ma non c’è naturalmente soltanto la Patagonia, nella luminosa carriera alpinistica dell’intramontabile “Det”. C’è la spedizione di Messner alla Sud del Lhotse con Cassin nel ’75, c’è il Bianco, c’è la Cima Ovest di Lavaredo. E ci sono le Grigne. E in Grigna c’è la “via dei Corvi” (“in assoluto una delle più belle tra le mie arrampicate e quella da cui sono partito per poi praticare l’alpinismo a un certo livello”) tracciata sul Sasso Cavallo nel 1974 con Benigno Balatti, Gianfranco Tantardini e Ezio Molteni.
“Non c’è montagna che possa eguagliare la Grigna – dice Alippi – e il Sasso Cavallo è stato il mio banco di prova. Ricordo la via Cassin e altri itinerari ancora. Io mi confrontavo con alpinisti che avevano più esperienza di me. All’inizio, a dire il vero, andavo forte sugli sci, poi però mi sono rotto una gamba proprio sciando e così ho deciso che quello era uno sport troppo pericoloso e l’ho abbandonato”.
Sorride chi è riuscito a prendere posto in sala civica per ascoltare il “Det”. Ci sono tanti alpinisti, ci sono molti amici di Alippi e numerosi appassionati di montagna. “Sono contento di quello che ho fatto – spiega ancora il “Det” quasi volesse fare un primo bilancio della sua carriera alpinistica – anche se per tre volte sono stato respinto dalla Nord dell’Eiger. Evidentemente era destino che non dovessi salirla”.
Poi c’è l’Alippi uomo, che vuole un alpinismo “trasparente” e che dice senza mezzi termini che “quanti evadono da questo concetto non sono più uomini”. E c’è un pensiero per un altro grande dell’alpinismo, Mario Curnis, da lui incontrato anche quest’anno in occasione del “tour delle Grigne”. “E’ un alpinista silenzioso – afferma – un altro che alle parole preferisce i fatti, un po’ com’era l’Annibale Zucchi… Con Curnis ho tentato la Sud del Lhotse nel ’75, ma quella volta siamo stati sfortunati, perché quando vai in montagna devi fare i conti anche con la natura, che spesso fa capire che non sempre l’uomo può fare quello che vuole”.
In sala c’è Mario Panzeri. L’alpinista mandellese che ha scalato senza ossigeno tutti i 14 “ottomila” della Terra va dal “Det”, lo abbraccia e gli consegna il suo regalo di compleanno. Tutti applaudono. Auguri, grande “Det”!
DI SEGUIITO, LA GALLERIA FOTOGRAFICA DELLA CERIMONIA INAUGURALE DELLA MOSTRA ALLESTITA AD ABBADIA PER GIUSEPPE “DET” ALIPPI