MANDELLO – “Giovedì 26 gennaio 1967, ore 23.20: vengono comunicati i risultati. La canzone di Tenco è esclusa dalla finale. Ha preso 38 voti su 900 dalle giurie e la commissione che avrebbe potuto ripescarla preferisce La rivoluzione, di Gianni Pettenati e Gene Pitney. Il giornalista Lello Bersani e il regista Lino Procacci, che fanno parte della commissione, si dimettono. I discografici Dossena e Simone svegliano Tenco per comunicargli l’esclusione. Gli dicono che alzeranno un polverone, proprio come era accaduto l’anno precedente per Il ragazzo della via Gluck di Celentano. Lui comincia a gridare, impreca, si altera, se la prende con tutti”.
E di seguito: “Lo raggiunge Dalida, vanno a discutere in un sottoscala adibito a deposito di bottiglie. Dopo poco li raggiunge un giovane fotografo, Renato Casari, inviato dalla Domenica del Corriere. Gli scatta delle foto, riesce persino a farlo sorridere dicendo che Modugno e Villa hanno vinto e che prima o poi arriverà il suo turno”.
Sono alcuni passaggi, scritti anni fa, che ricostruiscono le ultime ore di vita di Luigi Tenco al Festival della canzone italiana del 1967. Tra i brani del passato rimasti nella storia del Festival e reintepretati nella serata di giovedì 12 febbraio sul palco dell’Ariston dai “campioni” in gara quest’anno ce n’erano anche due di Tenco: Vedrai vedrai e Ciao amore ciao.
La memoria del cantautore rivive ogni anno, nei giorni di Sanremo. E ogni anno il pensiero va anche a Renato Casari, il fotografo e giornalista di origini emiliane che per oltre 50 anni ha vissuto tra Milano e Mandello, citato nel testo riportato in apertura.
Fu lui, infatti, a fotografare Tenco per l’ultima volta, prima del tragico epilogo di quella sera di fine gennaio appunto del ’67, quando in una stanza dell’hotel Savoy il cantautore – appena escluso dalla finale con Ciao amore ciao – decise di porre fine ai suoi giorni con un colpo di pistola alla tempia.
Casari, scomparso nel 2010, era andato a quel Festival come corrispondente dell’agenzia milanese Publifoto e per conto della Domenica del Corriere. Aveva sostituito la sua “Exacta Varex” acquistata nel ’50 con una “Rolleiflex T35” e quella sera aveva scattato molte immagini.
Poi, una volta spente nel salone delle feste del Casinò le luci della ribalta, aveva intervistato (e appunto fotografato) vari cantanti, raccogliendo gioie e delusioni di vincitori e sconfitti. Tra questi ultimi vi era Luigi Tenco.
“La notizia della sua eliminazione – ci raccontò anni fa Casari in occasione di un nostro incontro – cadde come fulmine a ciel sereno su noi giornalisti e fotografi, ma Tenco era introvabile. Soltanto verso mezzanotte un cameriere mi disse che il cantante si era rifugiato in un ripostiglio sotterraneo del Casinò”.
“Lì in effetti Tenco stava discutendo con Dalida, che aveva eseguito con lui Ciao amore ciao – aggiunse il fotografo – e si interrogava sui motivi della clamorosa bocciatura. Lo raggiunsi scendendo per una scala a chiocciola. Dopo aver letto il mio tesserino di riconoscimento appeso alla giacca, Tenco mi pregò di portare i suoi saluti a Vittorio Franchini, all’epoca vicedirettore della Domenica del Corriere. “Lo ringrazi – mi disse – per quello che ha scritto. Mi ha dato fiducia e gliene sono grato”. Scattai alcune foto che per almeno 25 anni sono rimaste dapprima negli archivi della “Publifoto” e successivamente in quelli di un’altra agenzia milanese. All’inizio degli anni Novanta sono poi finite nella redazione di un quotidiano milanese, peraltro introvabili. Così di Tenco mi è rimasta soltanto una foto…”.
Ce la mostrò, Casari. E noi la riproducemmo. Una sola foto, uno scatto che ritraeva Tenco sorridente. Un “flash” che strideva – e stride tuttora, a distanza di molti anni – con le immagini di morte che neppure due ore dopo la Polizia di Sanremo avrebbe scattato in quella stanza, la 219, del Savoy.
“Feci quella foto – ci ricordò sempre Renato Casari – poco prima di lasciare il locale dove si era “rifugiato” Tenco e dopo averlo sollecitato a non essere troppo serio né eccessivamente amareggiato per quella inattesa bocciatura. “E’ soltanto un Festival e allora Evviva Sanremo”, gli dissi. Lui mi sorrise, mi guardò e pronunciò la mia stessa frase. “Evviva Sanremo”, mi ripetè. Io scattai, salutai e mi congedai da lui”.
Dopo aver lasciato il Casinò, Casari tornò al suo albergo. Un paio d’ore più tardi un collega lo svegliò per dirgli che Luigi Tenco era morto suicida.
“Andammo immediatamente al Savoy – ci spiegò il fotografo – e là trovammo una grande ressa. C’era Claudio Villa, c’erano Caterina Caselli e molti giornalisti. A noi fotografi fu impedito di raggiungere la stanza di Tenco. Vidi però i necrofori salire al piano superiore dell’albergo. Alle 5 del mattino me ne andai e a quell’ora la bara non era ancora scesa”.