Riceviamo e pubblichiamo:
“Caro Direttore,
dalla stampa locale si apprendono i risultati della sperimentazione di Regione Lombardia, a Lecco gestita dall’ASL, sulla dote conciliazione lavoro e famiglie, risorse provenienti dal Fondo nazionale per le pari opportunità.
Numeri, per l’importanza che rivestono, richiedono un confronto con il numero di donne occupate e non, i nati di ogni anno, diversamente perdono di efficacia.
Sul bando emesso lo scorso anno espressi le mie perplessità perché rivolto a una piccola parte di donne e solo fino all’anno del figlio/a, (dopo l’anno il figlio/a, è autonomo/a?), escludeva le mamme precarie, oggi purtroppo sono la maggior parte, considerando così mamme di serie a e di serie b Bando in parte poi modificato, metteva a disposizione risorse individuali al posto di servizi non garantendo così una continuità, discriminando ancor di più le donne nella cura della famiglia.
Una scelta, infatti, in netto contrasto con il 1° rapporto della Provincia di Lecco presentato il 2 marzo scorso sul mercato del lavoro femminile, che evidenzia i tre obiettivi che la conciliazione vuole raggiungere:
1. il miglioramento del benessere all’interno del nucleo famigliare
2. il miglioramento del benessere dei lavoratori e delle lavoratrici sul posto di lavoro
3. favorire le pari opportunità e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Obiettivi in perfetta sintonia con la Legge 53/2000, una legge importante ma pochissimo applicata, “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città” prevedono una pluralità d’interventi (congedi parentali, sostegno diretto alle imprese che promuovono buone pratiche di conciliazione, tempi delle città) volti a rispondere ai bisogni di conciliazione dei lavoratori e delle lavoratrici e chiama in a causa di una pluralità di attori: lo Stato, le Regioni e i Comuni.
E poiché le donne costrette a licenziarsi sono molte, o lavorare part-time (quando questo viene concesso), per assenza di servizi dedicati alla conciliazione, da Fonte Istat 28 dic 2011 ci dicono che: il 15,4 per cento di quelle che si prendono cura di figli svolge lavori non a tempo pieno, mentre il 14 per cento, per sopperire l’assenza di servizi è costretta a non lavorare affatto. Un altro aspetto emerge dalla comparazione delle assenze dal lavoro tra uomini e donne per motivi familiari, o dall’uso maschile e femminile del congedo familiare. Degli occupati che si sono assentati dal lavoro per almeno un mese per accudire i figli di meno di 8 anni, il 37,5 per cento sono donne, a fronte dell’1,8 per cento di maschi. L’uso del congedo parentale riguarda le donne per il 45,3 per cento e gli uomini per il solo 6,9 per cento. Purtroppo dalla riforma del mercato del lavoro è stata persa un’occasione, solo una giornata di permesso obbligatorio per i Padri è prevista, mi auguro sia solo l’inizio di un cambiamento.
Proprio per questo occorre partire dai Comuni quali soggetti e interlocutori primari delle esigenze delle famiglie e dei cittadini lavoratori, chiamati ogni giorno a rispondere alle richieste di servizi finalizzati all’inclusione sociale, per l’implementazione dei servizi di sostegno all’infanzia che oggi soffrono, come testimonia la situazione di molti comuni della nostra provincia, alla luce dei tagli alle risorse di questi anni dalla scuola, da qui le enormi difficoltà delle famiglie a trovare spazi e soluzioni per la cura e la crescita dei figli durante l’orario di lavoro, oltre ovviamente ai costi divenuti in molti casi insostenibili.
Come maggiore deve essere il coinvolgimento delle aziende, il puro contributo all’assunzione, pure importante, non basta, è necessario spingerle a investire su progetti e percorsi di riorganizzazione come prevede l’articolo 9 della legge 53 che consentano alle lavoratrici e ai lavoratori di:
a) usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, quali part time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, banca delle ore, orario flessibile in entrata o in uscita, sui turni e su sedi diverse, orario concentrato, sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati;
b) reinserirsi in maniera più veloce dopo un periodo di congedo parentale, questo significa che non è possibile limitarsi a intervenire solo durante il primo anno di vita del bimbo.
E’ necessario allora promuovere quei progetti che, anche attraverso l’attivazione di reti tra enti territoriali, aziende e parti sociali, promuovano interventi e servizi innovativi in risposta alle esigenze di conciliazione dei lavoratori e come prevede la legge, coinvolgere i lavoratori con figli minori, con priorità a chi ha minori fino a dodici anni di età, o fino a quindici anni in caso di affidamento o di adozione, ovvero con a carico persone disabili o non autosufficienti.
Ecco perché è indispensabile, alla luce della grossa crisi che investe anche la nostra provincia, una programmazione non scindibile dalle trasformazioni in atto nel mercato del lavoro che, impossibile negarlo, ha una pesante ricaduta sulle caratteristiche della domanda di servizi. Politiche dei servizi, dei tempi e dei trasporti, hanno un impatto positivo sull’occupazione femminile e di conseguenza portano a più crescita e più sviluppo. La Banca d’Italia stessa ha affermato che se in tutto il paese, le donne lavorassero per il 60% il Pil sarebbe maggiore di 7 punti.
Promuovere i servizi quindi è una scelta di sviluppo non un costo come spesso in modo miope è considerato”.
Lucia Codurelli