MANDELLO – “Saranno le 7 del mattino e sono appoggiato alla battagliola sul ponte di prua della nave Heleanna che mi riporta in Italia dalla Grecia. Dall’alto osservo i piccoli frangenti che il libeccio va a spiaccicare contro il fianco della nave. Il leggero senso di vertigine per l’altezza e il vuoto sotto di me non è confortato dalla voce del comandante che, distorta dagli altoparlanti, ci informa in varie lingue che non c’è motivo di preoccuparsi perché la situazione è sotto controllo. Un avviso di questo tipo mi dà subito il senso della tragedia imminente”.
Cominciava così il racconto scritto dall’architetto Ezio Fasoli qualche anno dopo il terribile incendio che all’alba del 28 agosto 1971 devastò la “Heleanna”, in servizio sulla rotta Patrasso-Ancona, causando la morte di oltre venti persone e il ferimento di centinaia di passeggeri.
Quel drammatico episodio torna d’attualità in queste giornate di fine anno, con le angoscianti notizie che ora dopo ora giungono dalla Puglia dopo l’incendio divampato domenica 28 dicembre a bordo del traghetto “Norman Atlantic”, su cui si trovavano quasi 500 persone in navigazione dalla Grecia verso Ancona. Esattamente come 43 anni fa sulla “Heleanna”.
“La mia esperienza di vita mi ha insegnato che quando uno ti dice che tutto è sotto controllo siamo alla fine – scriveva l’architetto mandellese, scomparso nel 2011 – Il fumo e le fiamme che vedo salire da poppa, al di là della cabina di comando, perdono di colpo il loro carattere per così dire episodico per diventare improvvisamente minacciose. La moglie e i ragazzi, in tutto sei intorno a me, mi guardano in attesa delle mie decisioni. Sono ovviamente in ansia ma tranquilli e sereni. Capisco che in quel momento la loro fiducia in me è assoluta”.
Quel racconto è pubblicato in un piccolo libro curato da Paola Nessi nel 2010 e scaturito da un’idea di Stefano “Tete” Fasoli, il più piccolo tra i nipoti dell’indimenticato architetto. In quella pubblicazione – significativamente intitolata I racconti del nonno Ezio – sono racchiuse molteplici testimonianze e importanti lezioni di vita, scritte con lo stile semplice ma colto che lo contraddistingueva e con una visione comunque positiva del mondo e dalla quale traspariva l’amore per la famiglia e per il suo territorio.
Scriveva dunque l’architetto Fasoli: “Siamo tutti bravi nuotatori e il mare non ci fa paura, però i ragazzi sono piccoli, poco più che bambini e noi, mia moglie ed io, ci assicuriamo che abbiano indossato il salvagente. Ma mancano tre salvagenti e nel caos che regna sulla nave non è possibile averli a portata di mano. A un certo punto vedo che dalla copertura della cabina di pilotaggio qualcuno butta dei salvagenti. Mi precipito”.
Ezio Fasoli ricordava nel suo racconto di avere visitato, nelle lunghe ore di navigazione, ponti e sale, di avere ispezionato le scialuppe di salvataggio e di essere rimasto inorridito osservando lo stato di degrado di quelle attrezzature, tra funi sfibrate, remi rotti e spazzatura, il tutto coperto da teloni di canapa grigia.
Poi il racconto di quel 28 agosto 1971 continua: “Osservo il mare dall’alto: le onde battono contro lo scafo e la situazione mi pare assolutamente priva di uscita. Penso che, se mai andrò ancora per mare, lo farò con un mezzo che mi tenga a livello dell’acqua. Intanto dalla mia posizione vedo il ponte delle scialuppe: il caos che vi regna mi convince sempre più che l’isolamento è l’unica via praticabile con i ragazzi. Vedo persone che litigano per salire su una scialuppa. I ragazzi guardano me, io guardo la scialuppa… Sono certamente più fortunati i passeggeri che, uscendo dal portellone di imbarco, scendono direttamente in mare. Sono tanti, muniti di salvagente e si vede una striscia di mare colorarsi dell’arancione dei salvagente”.
“Il libeccio fa rinvigorire il fuoco – raccontava sempre l’architetto – ma anche, fortunatamente, lo spinge verso l’estremità della nave contraria a quella dove stiamo noi. Mi sento relativamente in sicurezza ma a un certo punto vedo spuntare le fiamme al di là della capitaneria e decido che non è più tempo di aspettare. Dico alla Manuela, la maggiore dei miei figli, di calarsi in mare. Alis (la figlia del mandellese Duilio Agostini, partita per quella vacanza proprio con la famiglia Fasoli, ndr) la segue, poi Davide e la Francesca. Sembrano saltimbanchi. Io prendo l’ultimo, Sebastiano di 5 anni, lo metto cavalcioni sulle spalle e mi calo. In mare, però, Sebastiano mi spinge la testa sott’acqua. Sto bevendo e non riesco a tirar fuori la testa. Penso che sia finita ma all’improvviso la situazione si ribalta: è arrivata in mare anche mia moglie e Sebastiano si butta al collo della mamma, liberandomi dal mio capestro. Finalmente riesco a respirare…”.
Poi la decisione di incrociare la rotta, nuotando, con una petroliera che si andava profilando davanti a loro. “Si chiama “Huniversal Defender” – ricordava Fasoli – e non ho intenzione di perderla. Dalla prua della nave ci viene lanciata una ciambella di salvataggio legata con una lunga cima. Afferro il salvagente con una mano, mentre con l’altra mi tengo aggrappato al materasso e il bravo marinaio ci fa scivolare lungo il fianco della nave fino a poppa, dove è stata calata una scala di corda. Alcuni marinai ci afferrano. E’ la grazia di Dio. Manuela e Davide si arrampicano per conto loro, come scoiattoli. Io mi rendo conto di non essere in grado di salire da solo e gradisco l’aiuto dei marinai. Siamo tutti finalmente all’asciutto sul ponte della petroliera”.
Quindi altri passaggi della sua testimonianza: “Sulla petroliera faccio l’inventario della situazione. Tutto il mio bagaglio, chitarra compresa, è bruciato sull’Heleanna. Abbiamo solo gli indumenti che indossiamo… Nel porto di Bari l’accoglienza è confortante. Ci vengono offerti cibo e bevande e ci ospitano in una scuola. Io parto alla ricerca di Alis, l’amica di mia figlia che si è allontanata dal gruppo quando ci siamo calati in mare e non ho più visto. Sono momenti che diventano terribili. Giro nei vari uffici dove ci sono interminabili elenchi di naufraghi raccolti dai vari mezzi, ma il nome dell’Alis non compare. Vado all’obitorio, dove vi sono le vittime ripescate”.
Poi il lieto fine: “In un ufficio del porto ho convinto un funzionario a recuperare tutte le minute degli elenchi trasmessi dalle imbarcazioni. Ci mettiamo in contatto con il comando del porto di Monopoli. E’ proprio come ho pensato, l’Alis è salva e il mondo torna a sorridere. Ci viene offerta una borsa di cibi. Davide esulta, fa un inventario meticoloso, non è un granché ma, in fondo, la vita è bella, divertente. Ed è divertente anche il foglio di via che le Ferrovie dello Stato ci omaggiano per assicurare il nostro ritorno al Nord”.
Pensieri e scritti che in queste ore tornano come detto d’attualità. E lasciano posto a riflessioni e, fortunatamente, anche ai sorrisi.
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