Patrona dell’ex Manzoni Group, aveva 95 anni
Ha guidato uno dei più grandi imperi industriali di Lecco
LECCO – E’ stata il simbolo dell’industria lecchese, lei, una donna alla testa di uno dei più grandi gruppi industriali di Lecco e del Bel Paese quando l’imprenditorialità era ancor più che oggi un affare da uomini: Lucia Alborghetti Manzoni se n’è andata all’età di 95 anni e con lei se ne va anche un pezzo della storia di Lecco.
Accanto al marito Stefano Manzoni, fondatore della Manzoni Presse, ha condotto l’azienda di famiglia verso il successo trasformandola in un vasto gruppo industriale di cinque stabilimenti e in forze settecento dipendenti, arrivando a toccare negli ultimi anni i 120 milioni di euro di fatturato.
Nel 1996, Lucia Alborghetti aveva ricevuto il premio come imprenditrice dell’anno, il celebre Femmes Chefs d’Entreprises Mondiales, e ancora nel 2000 era stata stata insignita del Premio Bellisario; l’anno prima il sindaco Lorenzo Bodega l’aveva omaggiata della benemerenza civica, il San Nicolò d’Oro.
Determinata e severa, non a caso era stata definita dalla stampa dell’epoca la ‘Thatcher’ dell’industria italiana, certo per la somiglianza nell’aspetto alla premier britannica ma anche per il suo carisma e la sua autorevolezza, una ‘Lady di ferro’ capace anche di grande dolcezza e comprensione umana, così come la ricordano i suoi familiari e i suoi collaboratori.
Si è spenta mercoledì mattina nella storica residenza sul Lungolario Cesare Battisti, tra l’affetto dei figli Alessandro e Donata. I funerali si svolgeranno venerdì alle 14.30 presso la Basilica.
La sua storia
Originaria di Caprino Bergamasco, figlia di una famiglia numerosa di tre fratelli e quattro sorelle, Lucia Alborghetti si era trasferita a Lecco dopo aver conosciuto Stefano Manzoni, sposato nel 1952, e si era ricavata un ruolo di primo piano nella piccola fabbrica aperta l’anno successivo dal marito in Corso Matteotti a Lecco.
“Mia madre già allora si occupava della parte amministrativa, mio padre era invece un tecnico di esperienza e seguiva la produzione, lasciando a lei gli aspetti più di carattere economico. Di fatto è sempre stata mia madre alla guida dell’azienda” racconta il figlio Alessandro Manzoni, così battezzato in omaggio al grande scrittore di cui Stefano Manzoni era un estimatore.
“Mio padre era un attore mancato, un grande appassionato di teatro. In gioventù recitava, a livello amatoriale s’intende. Si ammalò presto, sfortunatamente. Ci ha lasciato nel 1993”.
La sua piccola fabbrica, nel frattempo, era già diventata grande: nel 1960 la Manzoni Presse si era trasferita in via Tagliamento di Lecco, nel 1968 aveva aperto il secondo stabilimento di Calolziocorte, nel 1991 acquistava la Proseat di Valgreghentino specializzata in componenti elettroniche, nel 1992 il Gruppo Manzoni acquisiva la bresciana Rovetta Presse e nel 1994 la Benelli Presse di Calenzano.
Un successo internazionale
L’automotive era il principale mercato di sbocco per le produzioni di carrozzeria di cui il Manzoni Group riforniva le principali case automobilistiche europee (Renault, Peugeout, Bmw) mentre il secondo importante ambito produttivo era legato al settore degli elettrodomestici, anche qui per clienti di prim’ordine come Whirlpool ed Electrolux.
Il gruppo lecchese ha continuato la sua ascesa negli anni ’90 con nuove acquisizioni, nel 1996 l’Emanuel Presse di Torino e l’ultima nel 2000 quando anche la milanese INNSE diventa parte dell’impero industriale dei Manzoni. Il nuovo millennio, però, segna l’inizio della fine per lo storico gruppo lecchese.
Il tramonto
“Fino ad allora, eravamo cresciuti grazie anche al sostegno del credito che ci consentiva di investire e proseguire su una strada che fino a quel punto aveva premiato i nostri sforzi- racconta Alessandro Manzoni, all’epoca dirigente del settore commerciale del gruppo – Nel 2001 ci preparavamo a fare il nostro ingresso in Borsa, tutto era pronto, purtroppo l’attentato alle Torri Gemelle del 11 settembre ha scosso il mercato e sospeso le quotazioni per lungo tempo, costringendoci a rinunciare al progetto”.
“Non solo – prosegue Manzoni – le difficoltà della Fiat hanno penalizzato tutte le imprese dell’indotto, anche noi pur non essendo fornitori dell’azienda torinese. Di colpo, ci siamo visti tagliare la linea del credito”.
Nel 2002 il gruppo navigava in acque torbide al punto da chiedere la Legge Prodi, “siamo riusciti ad ottenerla in poco più di 22 giorni, un lasso di tempo breve proprio perché l’azienda aveva i conti in ordine”. Rimasta in amministrazione straordinaria, nel 2004 l’azienda viene rilevata dal colosso giapponese Aida, tutt’ora proprietario dello stabilimento di Calolziocorte.
“E’ stato un periodo molto difficile, un colpo durissimo per mia madre – racconta il figlio Alessandro – Abbiamoprovato il tutto per tutto nel tentativo di risollevare le sorti dell’azienda, impegnando il nostro patrimonio familiare. Abbiamo dovuto chiudere nonostante avessimo ancora ordinazioni per oltre 85 milioni di euro”.
I giapponesi sono stati l’ultima carta giocata dalla famiglia Manzoni per salvare la storica attività, testimonianza di una grande capacità imprenditoriale al femminile.
Una mamma imprenditrice
“Cosa le è costato arrivare fin qui?” chiedeva una cronista in una delle tante interviste rilasciate da Lucia Alborghetti su testate locali e nazionali:
“Ho dovuto rinunciare a tante cose: i divertimenti in primo luogo, l’avere un po di tempo per sé e ho dovuto soprattutto lavorare dodici ore al giorno senza tregua, per quarant’anni”.
“E la famiglia? Come si fa a gestire entrambe le cose, lavoro fuori e impegno a casa?”.
“E’ complicatissimo – rispondeva l’imprenditrice – Naturalmente mi sono sempre valsa dell’aiuto di persone fidate. Certo non ho potuto essere la classica mamma che ti prepara la torta per merenda e spesso ne ho sofferto”.