LEGGERMENTE – Applausi a Galimberti anche se: “Nell’età della tecnica non si può essere felici”

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Il filosofo, sociologo e psicanalista Umberto Galimberti

 

LECCO – “E’ possibile la felicità nell’età della tecnica?”. Per il filosofo, sociologo e psicanalista Umberto Galimberti la risposta è chiara: “No”.

“Nell’età della tecnica, da non confondere con tecnologia, l’uomo non può essere felice perché non lavora per se stesso ma per perseguire le finalità degli apparati. La tecnica ha posto fine all’era umanistica, per cui l’ uomo non è più il soggetto della storia, ma il funzionario di apparati tecnici, dai quali è in qualche modo ‘im-piegato’, rischiando di diventare materia prima”.

Una Lectio quella del Professor Galimberti (introdotto dallo psicologo e psicoterapeuta Mario Camillo Pigazzini) applaudita a più riprese dal numeroso pubblico di Leggermente (tanti i giovani presenti) che ieri, domenica, si è accomodato all’Auditorium di Teatro Invito a Lecco.

La “Lectio” del Professore è iniziata da una prima grande distinzione tra la cultura greca, scomparsa, e quella giudaico – cristiana che “ha avuto la meglio”.

La felicità dipende dalla cultura in cui si vive – ha esordito Galimberti – Nella cultura greca l’uomo è mortale, come tutte le cose che nascono anche l’uomo cresce, si riproduce e muore. La cultura greca è una cultura tragica, dove la morte è l’implosione di ogni senso. Nella cultura giudaico – cristiana, che è la nostra e permea tutti noi anche coloro che si professano atei, non è così. Nella cultura giudaico – cristiana vi è la drammatizzazione della morte e il dolore diventa espiazione del peccato e caparra per l’eternità. Si viene educati all’accettazione del dolore che è salvifico. Per il greco il dolore non ha significato, fa parte della vita ed è una sua componente”.

Quindi il “colpo di genio” come lo ha definito il Professor Galimberti della cristianità che dice ai mortali: “Voi non morirete mai. E questa promessa ha permesso alla cultura giudaico – cristiana di vincere su quella greca e arrivare fino a noi”.

Il numeroso pubblico presente all’Auditorium di Teatro Invito a Lecco

 

E la differenza fra le due culture passa anche attraverso la felicità. “Il concetto di felicità per i greci è l’eudaimonia, termine greco eudaimonismòs, composto da ‘bene’ e ‘demone’, inteso quest’ultimo non nel significato negativo di demonio, ma di ‘genio’, ‘spirito guida’, la tua virtù, ciò per cui sei nato. Ognuno di noi ha un ‘demone’ e se lo riesce a realizzare è felice. Per questo l’Oracolo di Delfi diceva che per prima cosa bisogna conoscere sé stessi. E, altro aspetto importante dei greci, è che il proprio demone va realizzato secondo misura”.

Quindi Galimberti ha proseguito il suo intervento spiegando come nella cultura greca la felicità la si raggiunga in relazione agli altri, ovvero nella polis (città) che viene prima dell’individuo.

“Del resto – ha puntualizzato – l’identità è un fatto sociale non un fatto naturale. E’ il riconoscimento degli altri che costruisce la nostra identità. Ebbene, tutto questo con il Cristianesimo finisce: al primo posto viene messo l’individuo. La cosa più importante è salvare l’anima e l’anima è individuale. L’incarico che ha il cristiano è quello di togliere tutti quegli impedimenti che si frappongono con la salvezza dell’anima”.

Il cristianesimo introduce un ottimismo radicale ed il tempo non viene più visto in modo ciclico come lo vedevano i greci: nascita, crescita, riproduzione, morte; viene concepito in maniera lineare, scandito da tre fasi: peccato originale, redenzione e salvezza eterna.

“Questa impostazione permea la nostra cultura. Persino la scienza è profondamente cristiana: ignoranza, ricerca e progresso – ha spiegato Galimberti – La possiamo definire una versione laica del cristianesimo”.

Da sinistra, lo psicologo e psicoterapeuta Mario Camillo Pigazzini e il filosofo, sociologo e psicanalista Umberto Galimberti

 

Si arriva così all’età della tecnica e a nuovi cambiamenti. “Se al Medio Evo tolgo la parola dio, di quell’epoca non capisco nulla. Se oggi togliessi la parola dio, capirei ancora tutto della nostra epoca, perché oggi il mondo accade come se Dio non fosse ed il predominio lo ha la tecnica e con essa il denaro”.

In questo panorama, dove ìmpera il binomio tecnica – denaro, il diktat è la crescita, perché se non si produce non c’è occupazione. “Qui si presenta il nichilismo, che diventa pratica quotidiana. Ogni cosa ha una data di scadenza che viene rimpiazzata da una nuova. Viviamo in una società in cui si producono bisogni per generare beni con la Terra che non è più un luogo di abitazione ma è materia prima. E l’uomo è diventato un mero funzionario di apparati tecnici in una società alla quale non importa chi sei o cosa fai, importa che tu sia produttivo e operativo e che raggiunga i massimi risultati con il minimo sforzo. Persino le scuole – ha concluso Galimberti – non sono più scuole di formazione ma sono diventate scuole di prestazione”.