LECCO – Una sala Ticozzi gremita di studenti ha accolto, in un clima di silenzio e partecipazione, l’agente Angelo Corbo, già membro della scorta di Giovanni Falcone e sopravvissuto alla strage di Capaci. Sono stati due giorni davvero intensi per l’ex ispettore capo, in servizio a Firenze fino allo scorso anno ed ora in pensione: il 18 ottobre, l’incontro con i ragazzi delle secondarie di primo grado; in serata la testimonianza davanti ad un centinaio di cittadini lecchesi; il giorno successivo l’evento con gli studenti delle scuole superiori del territorio, tra cui il liceo Grassi, presente con due classi (3 B e 3 H, accompagnate dai docenti Aldeghi e Sacco).
Dopo una breve introduzione della prof.ssa Bisanti, docente del Bertacchi e referente del Centro Promozione Legalità (CPL) di Lecco, promotore dell’iniziativa, Angelo Corbo è subito entrato nel vivo dei fatti, raccontando cosa è avvenuto quel 23 maggio di 26 anni fa quando Cosa Nostra – “braccio armato di una parte dello Stato”, queste le parole dell’agente, pesanti come macigni – ha eliminato un suo nemico giurato con 500 kg di tritolo. Il convoglio era costituito da 3 macchine: al centro la Croma bianca guidata dal giudice, con al suo fianco la moglie Francesca Morvillo; davanti e dietro due auto della scorta. E proprio sulla terza vettura viaggiava Angelo Corbo, seduto sul sedile posteriore, insieme ad altri due colleghi, Paolo Capuzza e Gaspare Cervello.
Per dare un quadro complessivo degli eventi Angelo (così vuole essere chiamato, semplicemente per nome) ha esposto ai ragazzi – sempre più coinvolti nel racconto ed emotivamente partecipi – i preparativi messi in atto i mesi precedenti e la dinamica dell’attentato, con un evento fortuito, il rallentamento dell’auto di Falcone, che ha fatto sì che al centro della deflagrazione non si trovasse la sua vettura, come era nei piani degli stragisti, bensì la prima auto della scorta, sbalzata ad un centinaio di metri di distanza. Falcone e la moglie sono invece deceduti, alcune ore dopo, a causa delle lesioni interne riportate nello schianto contro il muro di asfalto che si era sollevato. “Dirlo suona quasi paradossale: se avessero allacciato le cinture o se ci fosse già stato l’airbag, probabilmente sarebbero sopravvissuti”, questo l’amaro commento dell’agente.
Si è poi concentrato sull’importanza degli uomini di scorta, che non sono “come i bodyguard dei film, palestrati e sempre impeccabili nell’abbigliamento, ma persone normali, che sanno convivere con la paura ma che decidono di dedicare la loro vita per la difesa della parte nobile dello Stato”. A questo proposito, intenso e commovente è stato un video proiettato al termine dell’incontro, in cui l’attrice Annalisa Insardà ha interpretato con grande passione un suo monologo intitolato appunto “La scorta”.
Un altro momento particolarmente significativo per i ragazzi è stata la distinzione tra mafia – intesa come fenomeno criminale – e mafiosità, cioè comportamento mafioso che “è di tutti, ovunque ed in qualunque momento, quando non si ha rispetto per le regole e per chi ci sta accanto. In questo senso il bullismo è simile alla mafia, anzi, è una branca della mafia, e i burattini del capoclan sono gli amici succubi del bullo, che lo spalleggiano nelle sue azioni”. Parole forti, sicuramente molto dirette ed efficaci, in considerazione della platea a cui erano rivolte.
Insomma, un incontro davvero imperdibile, una lezione di grande educazione civica e morale da parte di un uomo “normale” (come ama definirsi) fermamente convinto che “ognuno di noi può fare qualcosa per ridare dignità a questo Paese: svolgere il proprio dovere con coscienza e serietà”.