Biotestamento. I medici dell’ospedale di Lecco spiegano le DAT

Tempo di lettura: 4 minuti

LECCO – Le Disposizioni Anticipate di Trattamento (Dat) sono state al centro della serata informativa organizzata giovedì’ presso l’Aula Bianca dell’Ospedale A.Manzoni di Lecco. Relatori dell’incontro il dr. Pierfranco Ravizza, presidente Omceo Lecco, e il dr. Mario Tavola, direttore del reparto di Anestesia/Rianimazione di Asst Lecco.

La legge n.219/17, ossia la legge sul biotestamento, approvata lo scorso dicembre a dieci anni di distanza dal clamore mediatico suscitato dai casi Englaro e Welby, è stata inquadrata a partire dalle motivazioni di fondo che hanno reso necessaria la sua stessa stesura: “dalla seconda metà del XX secolo i progressi in medicina hanno modificato il limite naturale della vita così come era stato concepito e vissuto per millenni – ha spiegato il Dr. Ravizza – Tale progressi hanno consentito di prolungare la vita del paziente anche in condizioni di incoscienza prevedibilmente irreversibile, quando gli organi vitali hanno cessato il loro funzionamento ma non sussistono tuttavia le condizioni per decretarne la morte cerebrale”.

La legge, nello specifico, interviene quindi a regolare anticipatamente le azioni da intraprendere in quel delicato territorio in cui permane solo un residuo dell’attività vitale del soggetto, che non è più in grado di esprimere autonomamente le proprie scelte in merito alla malattia: si parla di situazioni cliniche ‘ai confini della realtà, caratterizzate dall’impossibilità di percepire il proprio stesso stato.

Il dott. Pierfranco Ravizza

Una legge ‘breve’, che si compone di pochi articoli, dei quali i primi cinque ne rappresentano il cuore pulsante: il primo, che regola il cosiddetto ‘consenso informato, attraverso il quale si esplicita il rapporto di comunicazione e informazione tra paziente e malato; il secondo, sulla terapia del dolore, che mira a curare ragionevolmente ma non ostinatamente, salvaguardando la dignità nella fase finale della vita; il terzo, che evidenzia le specificità normative in caso di un soggetto minore o incapace; il quarto, che illustra come redigere le Disposizioni Anticipate di Trattamento, chi può sottoscriverle e l’indicazione del cosiddetto ‘fiduciario; la quinta, infine, che disciplina la  pianificazione delle cure.

“La legge 219/17 riconosce dei passaggi che anche prima erano previsti dal codice deontologico della professione di medico, ma che non erano di fatto formalizzati dal punto di vista legislativo – ha sottolineato il Dr. Ravizza – Sancisce che il medico non può intraprendere procedure diagnostiche senza l’acquisizione in prima battuta del consenso informato, che deve necessariamente essere dato in forma scritta, sottoscritta o con modalità di pari efficacia documentale. In caso di minore o persona incapace, inoltre, il medico dovrà tenere in adeguata considerazione le opinioni espresse dal soggetto, anche se in tali casi viene indicato un tutore o un amministratore di sostegno che affianca il paziente nel valutare e prendere le decisioni”.

Il dott. Mario Tavola

Ogni persona maggiorenne capace di intendere e di volere può dunque redigere le Dat, esprimendo così le proprie volontà in materia di trattamento sanitario, che include la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale. Le Dat possono contenere l’indicazione di un ‘fiduciario’ – chiamato a rappresentare l’interessato nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie – la cui scelta è rimessa completamente alla volontà del disponente, purché si tratti dell’indicazione di un soggetto anch’esso maggiorenne e capace di intendere e di volere.

“Il cuore di questa legge è costruire relazioni di cura. E’ una legge sulla sospensione delle cure e non sulla sospensione della vita. Sancisce di fatto che ogni persona ha il diritto di morire in serenità e con dignità – ha riflettuto il Dr. Tavola – E’ lecito decidere di rinunciare a trattamenti sanitari che porterebbero solo ad un prolungamento penoso e precario della vita stessa. L’assunto deontologico della nostra professione che sta alla base di tali considerazioni è che, quando non è più possibile curare, il medico deve comunque curare la sofferenza, desistendo tuttavia dall’impartire cure sproporzionate e/o inappropriate, fuggendo quindi quello che viene definito ‘accanimento terapeutico’.