Dal sostegno agli operatori sanitari impegnati sulla linea del fronte all’ambulatorio ad hoc per chi, a causa del virus, è andato “in crisi”
L’intervista al direttore del dipartimento di Salute Mentale sul Covid, il virus che ha rivoluzionato la nostra quotidianità: “Lascerà degli strascichi a lungo”
LECCO – E’ il risvolto più sottile, quello che ha già dato segno della sua dirompenza, ma che potrebbe uscire in tutta la sua acutezza tra qualche mese, o forse tra qualche anno.
Un’emergenza nell’emergenza non solo per chi è chiamato a lavorare in prima linea sul fronte ospedaliero tra pazienti intubati e Cpap, ma anche per chi ha visto la propria quotidianità cambiare un giorno con l’altro, riscoprendo con prepotente attualità i tanti limiti dell’essere umano.
Sono molteplici, variegati e per certi versi ancora… in sordina i riflessi psicologici legati alla pandemia da coronavirus, crisi sanitaria dai confini mondiali che, con il suo carico di distanziamento fisico e paura del contagio, ha imposto a tutti di riorganizzare la routine giornaliera e di essere sempre pronti e flessibili per affrontare nuovi e mutevoli scenari.
Il primo intervento negli ospedali
Lo sa bene Antonio Lora, a capo del dipartimento di Salute Mentale dell’Asst Lecco, impegnato a riorganizzare, oggi come nella primavera scorsa, i reparti e i servizi territoriali per fare in modo di affrontare al meglio un’emergenza sanitaria che lascerà strascichi, anche profondi, nell’animo di tutti. “Posso dire che ci siamo mossi subito e in tempo per affrontare la situazione drammatica che il personale sanitario stava affrontando la scorsa primavera negli ospedali di Lecco e di Merate, riconvertiti, nel giro di pochi giorni, come reparti Covid. A guidarci sono state le indicazioni fornite dalla letteratura scientifica su situazioni epidemiche simili, come quella della Sars, in cui erano stati registrati stati di ansia, depressione e stress post traumatico nel personale ospedaliero”.
Obiettivo ridurre la tensione emotiva
Grazie al coinvolgimento dell’equipe Emdr emergenza, è stato possibile intervenire subito già la scorsa primavera. “Un dettaglio importantissimo perché prima si interviene sulla linea del fronte e meglio è. E’ stato necessario raccogliere le emozioni di medici, infermieri e operatori sanitari che si sono trovati catapultati ad affrontare una malattia difficile, dalla mortalità elevata e con pochi armi a disposizione. L’obiettivo era ridurre la tensione emotiva di chi lavorava nei reparti covid e devo dire che abbiamo avuto una restituzione positiva da parte dei fruitori di questo servizio”.
Il dramma dell’isolamento
La funzione di sostegno e appoggio alle emozioni, spesso ingestibili se non paralizzanti, si è estesa anche alle persone ammalate di Covid e ai loro familiari, alle prese con un virus che ha messo al bando la possibilità di stare vicino e sostenere il proprio caro in momenti difficili, delicati e personali. “Le persone morivano e muoiono da sole, senza poter salutare i propri cari. E questo è stato un aspetto devastante e drammatico che ha coinvolto le vittime, i loro parenti, ma anche il personale sanitario”.
Un supporto riattivato per la seconda ondata
La presenza di un’unità di crisi psicologica si è rilevata fondamentale per arginare la piena di emozioni e vissuti altrimenti difficili da elaborare in autonomia. “Non a caso, oggi, di fronte alla seconda ondata, abbiamo riattivato questo servizio, rimettendo a disposizione un team di esperti per il personale ospedaliero che, in corsia, non ha né il tempo né lo spazio per esprimere le proprie fatiche, le proprie inquietudini, il proprio dolore”.
L’obiettivo è dare semplicemente la possibilità di parlare, evitando che il silenzio crei muri interiori, difficili poi da abbattere, costruiti con i mattoni dell’ansia, della depressione e della paura. Relazionarsi, insomma, con sé stessi e gli altri, in un tempo in cui invece la distanza interpersonale sembra essere una delle vie maestre per contrastare il contagio ed evitare il diffondersi dell’epidemia. Un bel paradosso che rende ancor più difficile trovare dentro di sé le risorse per affrontare una crisi sanitaria dai tempi lunghi, sospesi e dilatati.
La fatica da pandemia
Dai canti sui terrazzi agli Andrà tutto bene dipinti con i colori dell’arcobaleno sugli striscioni affissi ai balconi si è passati a provare, ognuno con sfumature e intensità di gradazioni diverse, una stanchezza diffusa. C’è chi la chiama fatica da pandemia e chi, senza troppo stupirsi, la mette nel conto ben sapendo che al primo attacco si risponde sempre più coriacei rispetto al secondo. Sarà la natura dell’uomo e sarà anche il fatto che anche la più alta capacità di resilienza arriva al punto di rottura se è continuamente sotto stress.
“Purtroppo ricette magiche da applicare a questo contesto non ci sono” ammette, con realismo Lora, consapevole che lo scenario davanti agli occhi non è roseo. La prospettiva è di un inverno e di una primavera ancora contrassegnati dalle ombre del Covid, con un andamento a fisarmonica, tra maggiori e minori restrizioni a seconda della curva del contagio, che ci lasceranno comunque ben lontani dalla normalità a cui eravamo abituati prima, quando il sorriso non era nascosto dalle mascherine, ci si poteva abbracciare e prendere un caffè in tranquillità.
Le ricadute psicologiche da Covid
Inutile sottolineare che le ricadute psicologiche del Covid si sono già registrate in maniera trasversale su tutta la popolazione. E anche se i numeri non sono stati ancora contabilizzati, parla da sé la creazione di un ambulatorio ad hoc per seguire chi, a seguito del lockdown dello scorso marzo, ha evidenziato ansie, paure e timori. Persone comuni, sottoposte magari a maggiore stress per il fatto di lavorare in posti “sensibili” e ad alta probabilità di contagio oppure individui già stretti in un contesto familiare o relazionale fragile, reso ancora più invivibile della chiusura forzata.
In aumento ansie, attacchi di panico e paure
“Negli ultimi tempi abbiamo registrato l’accesso ai nostri servizi di assistenza psicologica anche di uomini e donne che prima del Covid non avevano mai bussato alla nostra porta”. Persone andate, per dirla con parole semplici, in crisi e che, autonomamente o grazie al consiglio del medico di base, hanno deciso di suonare al campanello di esperti per provare a mettere ordine al loro groviglio di emozioni. Poi ci sono i pazienti Covid guariti per cui l’esperienza dell’ospedalizzazione, soprattutto se lunga e impegnativa, ha lasciato un’eco enorme dentro e chi, come i pazienti in cura ai Cps, si è visto ridurre i propri tempi di ascolto e cura per via dell’emergenza sanitaria.
A pochi mesi dall’emergenza sono emerse già le prime crepe, destinate purtroppo a non restare le uniche. “Tra un paio d’anni potremo renderci conto compiutamente degli strascichi che il Covid ha lasciato in tutti noi. Si stanno giù facendo degli studi a riguardo. Vedremo”.