Novità nelle cure dello shock cardiogeno, per l’Italia c’è il Dr. Savonitto del Manzoni

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LECCO – C’è il nome del Dr. Stefano Savonitto, Direttore della Cardiologia dell’Ospedale Manzoni di Lecco, sulla prima pagina di una rilevante pubblicazione apparsa il 30 ottobre sul New England Journal of Medicine, la più importante rivista medica a livello mondiale.

Durante la riunione iniziale dello studio (Madrid 2012): in prima fila da sinistra, Stefano Savonitto (Ospedale Manzoni, Lecco), Holger Thiele (Università di Lipsia, Germania), Uwe Zeymer (Centro per la Ricerca sull’ Infarto Miocardico, Ludwigshafen Germania), Jan Piek (Academic Medical Center, Università di Amsterdam, Olanda)

 

Lo studio intitolato “PCI Strategies in Patients with Acute Myocardial Infarction and Cardiogenic Shock” – redatto da ricercatori appartenenti a 11 Paesi dell’UE, tra cui appunto lo stesso Savonitto che è stato coordinatore scientifico per il contributo italiano – avrà un impatto rilevante sul modo di trattare lo shock cardiogeno, la forma più grave e letale di infarto cardiaco.

Lo studio fa parte del progetto Culprit Shock, la più grande ricerca mai condotta al mondo sullo shock cardiogeno, comprendente 706 pazienti con malattia coronarica multivasale, infarto miocardico acuto e shock cardiogeno, finanziata dall’ Unione Europea per 6 milioni di euro

“L’obiettivo primario dello studio era valutare l’impatto del trattamento sull’incidenza di morte o l’insorgere di grave insufficienza renale a 30 giorni” – spiega il dott. Savonitto – La ricerca si è posta l’obiettivo di individuare il metodo migliore per intervenire. Nello specifico, bisognava verificare se fosse più opportuno intervenire con angioplastica coronarica d’emergenza sulla sola arteria ‘colpevole’ (‘culprit’ in inglese) dell’infarto in atto, o se andare a dilatare anche le altre arterie coronariche ammalate. I risultati si sono rivelati significativamente a favore della prima ipotesi, ossia l’intervento sulla sola arteria colpevole: si tratta di una conclusione importante, che avrà un impatto rilevante sulle prossime Linee Guida”.

Come spiegato in maniera dettagliata nell’articolo apparso sul New England Journal of Medicine, infatti, il rischio a 30 giorni di morte o insufficienza renale tale da richiedere terapia sostitutiva (dialisi, per intenderci) è stato significativamente inferiore tra i pazienti che inizialmente sono stati sottoposti ad angioplastica della sola lesione colpevole rispetto a coloro che sono stati sottoposti a immediata angioplastica multivasale.

“Siamo molto soddisfatti degli esiti della ricerca che andranno sicuramente ad incidere sulle direttive attuali”, commenta Savonitto.

Nonostante i continui miglioramenti nella cura dell’infarto, il 50 percento dei pazienti che si presentano con shock cardiogeno muoiono tuttora durante il ricovero anche nei Centri più attrezzati (e anche nel Culprit Shock trial). La conduzione di ricerca clinica in questi pazienti è estremamente impegnativa e ancora riservata a centri altamente selezionati.