Anche negli ospedali di Lecco e Merate si è iniziato a usare il plasma iperimmune per i pazienti Covid
Grazie ai donatori è stato possibile raccogliere finora circa 200 unità di plasma, che serviranno anche per la ricerca
LECCO / MERATE – Anche all’ospedale Manzoni di Lecco e al Mandic di Merate si è iniziato a usare il plasma iperimmune per la cura dei pazienti Covid. Lo si fa attraverso il cosiddetto uso compassionevole, autorizzato di volta in volta dal comitato etico del presidio ospedaliero, o all’interno di ricerche cliniche, perché il plasma iperimmune è ancora una cura sperimentale. Una terapia quindi oggetto di studi, che si basa sul principio, tanto semplice quanto da confermare nella pratica, che chi è guarito dal virus conserva, nel suo plasma, una quota di anticorpi in grado di neutralizzare, soprattutto in una fase iniziale, l’infezione da Covid-19.
Centro hub della Lombardia per la lavorazione e la validazione delle unità di sangue ed emocomponenti raccolte nell’ampio territorio che va dalla Valtellina alla provincia di Monza Brianza, l’ospedale di Lecco ha iniziato, già da maggio, insieme all’ospedale Mandic di Merate, a raccogliere e conservare il plasma di pazienti guariti da Covid. In pochi mesi sono state già congelate oltre 200 unità di plasma da 600 millilitri l’una, in parte già messe a disposizione per l’uso clinico su pazienti. Un lavoro importante per cercare, come ci ha spiegato il dottor Alessandro Gerosa, direttore della Medicina Trasfusionale dell’Asst Lecco, di fornire alla medicina un’arma in più nella lotta al Covid.
Iniziamo proprio dalla definizione: cos’è il plasma iperimmune?
“Partiamo con il dire che il plasma è la parte liquida del sangue che contiene proteine. In campo sanitario, la donazione di plasma è una pratica diffusa da molti anni, tanto che la quota raccolta che non viene utilizzata in ospedale viene ceduta, attraverso apposite procedure, all’industria farmaceutica, quale materia prima per produrre farmaci plasmaderivati essenziali per il trattamento di numerose patologie, come albumina, fattori della coagulazione ed immunogloboline, impiegate con successo ad esempio per la cura delle infezioni da tetano e del virus dell’epatite B. Queste ultime sono anticorpi che, introdotti nel corpo in una fase iniziale dell’infezione, bloccano il virus impedendogli di replicarsi”.
E’ lo stesso principio che sta alla base della cura con il plasma iperimmune?
“Esattamente. Infatti a livello teorico il pensiero è giusto. E visto che per il vaccino e per le immunoglobuline specifiche contro il Covid-19 prodotte a livello industriale ci vorrà ancora tempo, è nata l’idea, a tutti i livelli, di trattare in ospedale il plasma con anticorpi specifici raccolto da pazienti guariti dal Covid ed utilizzarlo per neutralizzare gli effetti del virus”.
Si tratta però ancora di una sperimentazione?
“Certo, è una terapia non ancora consolidata che può però promettere una certa efficacia”.
A che punto siamo?
“Si stanno portando avanti diversi studi clinici controllati nell’ambito di progetti autorizzati. Come Asst Lecco facciamo parte del progetto Tsunami, coordinato dal professor Menichetti dell’Università di Pisa e approvato dall’Aifa, con lo scopo di valutare l’efficacia e il ruolo del plasma iperimmune. Stiamo attendendo i risultati per capire se la terapia funziona”.
Ci sono già delle prime intuizioni?
“Siamo sempre nel campo delle indagini, ma dai primi studi appare evidente che il plasma non risulta efficace per pazienti con malattia grave e in fase avanzata, come ad esempio in chi ha manifestato una polmonite bilaterale. L’ipotesi, purché ancora teorica, ma realistica è che questo tipo di cura sia efficace per contrastare sul nascere l’azione del virus, bloccandone l’evoluzione“.
Nella pratica come funziona la raccolta?
“Abbiamo iniziato a raccogliere le sacche di plasma tra maggio e giugno, attraverso la donazione di pazienti risultati positivi al virus durante la prima ondata di marzo e aprile. Le abbiamo raccolte in sacche da 600 millilitri e abbiamo previsto anche delle unità da 300 ml per l’uso clinico in reparto”.
Anche a Lecco si è iniziato a usare il plasma iperimmune sui pazienti?
“Sì, sia all’interno del protocollo Tsunami che per l’uso compassionevole. In questi casi, il plasma viene sottoposto a un ulteriore trattamento di sicurezza, che è quello di inattivazione al fine di togliere eventuali residui di virus e batteri”.
Cosa si intende per uso compassionevole?
“Si usa questa dicitura quando la terapia utilizzata non è ancora consolidata, ovvero quando non ci sono ancora indicatori, dati dagli studi, sull’efficacia della cura. Proprio per questo motivo, l’utilizzo del plasma iperimmune per la cura di pazienti Covid deve essere autorizzato, di volta in volta per il singolo paziente, dal comitato etico dell’ospedale”.
Il che equivale a dire che è una cura sperimentale?
“Sì, ma questo non vuole dire che il paziente fa da cavia. Il plasma è sicuro e la cura, effettuata attraverso una trasfusione, non comporta danni al malato. L’utilizzo non comporta rischi, anche se al momento non sappiamo in che misura possa funzionare”.
Quale è l’identikit del donatore di plasma?
“La condizione sine qua non è quella di aver contratto il virus e di esserne guariti con tanto di tampone negativo. Bisogna avere un età compresa tra i 18 e i 65 anni e superare una selezione che prevede una valutazione sulla storia sanitaria personale. Di fatto valgono le regole generali della donazione”.
Come sta andando?
“Il Lecchese è, da sempre, una realtà molto generosa. Basta pensare che sul fronte della donazione del sangue riusciamo, grazie ai nostri donatori, a compensare i numeri a livello regionale. Dal 2015 l’ospedale di Lecco è diventato centro hub per la lavorazione e la validazione delle unità di sangue ed emocomponenti della zona che comprende le Province di Sondrio, Monza e Brianza e Lecco. Il sangue raccolto dal nostro hub supporta anche gli ospedali San Raffaele, Sacco e Niguarda di Milano”.
Tornando al plasma iperimmune, quanti sono stati finora i donatori?
“Sono circa 200 le persone valutate: ne abbiamo dovute scartare circa 40-50 perché non avevano tutte le caratteristiche cercate. Quello che cerchiamo, infatti, sono donatori con un alto titolo di anticorpi, in particolare quelli neutralizzanti, specializzati nel contrastare l’infezione delle cellule da parte del virus”.
A quanto ammonta finora il materiale raccolto?
“Parliamo di 200 unità da 600 millilitri ciascuna. Un’ottima quantità che potrà essere in futuro utilizzato anche dall’industria farmaceutica per la produzione di immunoglobuline del plasma specifiche in chiave anti Covid”.
Un ulteriore lavoro per il laboratorio che si somma a quello routinario, anche se immaginiamo che il Covid abbia rivoluzionato qualsiasi abitudine in ospedale…
“Tutti i settori ospedalieri hanno subito un aggravio di lavoro, anche il nostro sicuramente. E’ così dalla scorsa primavera, lo sappiamo…”.