L’alpinista e guida alpina ha festeggiato sulla cima dolomitica anche gli 80 anni d’età
“Grazie a due amici, dopo 50 anni, sono arrivato ad abbracciare ancora questa croce”
BALLABIO – “Sono arrivato ad abbracciare ancora questa croce dopo 50 anni. Questa è una bella cosa”. Poche semplici parole prima di ringraziare i due amici che lo hanno accompagnato. Giorgio Tessari, classe 1942, la scorza dura di quelli che hanno sempre affrontato la vita di petto. Friulano di stirpe, è nato in Veneto dove ha passato i primi anni di vita per poi trasferirsi con la famiglia a Civate (paese d’origine della mamma) e poi nella vicina Valmadrera. Lavoro, prima di tutto, poi famiglia e montagna: la sua vita ha sempre seguito questi tre sentieri.
A inizio agosto Tessari ha raggiunto ancora una volta la cima del Civetta percorrendo la ferrata degli Alleghesi, camminando sugli stessi passi percorsi nel marzo 1972 dopo aver scritto una delle pagine più belle della storia dell’alpinismo: l’apertura in inverno della Via dei Cinque di Valmadrera. Una linea di 1.350 metri (VI+, A3) che sale dritta nel cuore della parete Nord-Ovest e si insinua tra due classiche: la Via Philipp-Flamm e la Via degli Amici.
I fratelli Gianni e Antonio Rusconi, Gianbattista Crimella, Gianbattista Villa e Giorgio Tessari, tutti di Valmadrera, sono questi i protagonisti di una salita cercata con determinazione e portata a termine tra il 16 e il 22 marzo 1972, al terzo tentativo. Giorgio Tessari, 50 anni dopo, ha portato simbolicamente in vetta anche i suoi compagni che, per vari motivi, non hanno potuto seguirlo nell’ascesa (ricordiamo che del gruppo dei cinque Antonio Rusconi è venuto a mancare nel 2008 all’età di 62 anni).
“Come è nata l’epopea dei cinque di Valmadrera? Sono arrivato a Valmadrera nel 1949, il primo ad avvicinarsi all’arrampicata sono stato io, all’inizio con un amico che si chiamava Angelo, poi con Castino dell’Osa. Poi Antonio Rusconi mi chiese di portarlo a scalare, da quel giorno abbiamo arrampicato per più di 30 anni, io avevo 19 anni e lui ne aveva 16. Successivamente si aggregò Gianni Rusconi e poco più tardi arrivarono due giovani, Villa e Crimella; ci accorgemmo subito che erano molto bravi. Così nacque il gruppo che poi avrebbe aperto la Via dei cinque di Valmadrera”.
Giorgio Tessari ha imparato ad arrampicare da solo, un maestro lo ha avuto solo più tardi: “Ero iscritto al Cai di Valmadrera, nel 1966 si decise di mettere in piedi la scuola di roccia e c’era bisogno di un istruttore nazionale di alpinismo come direttore del corso. Il presidente dell’epoca conosceva Giorgio Redaelli, ‘il re del Civetta’, così gli chiese di venire a Valmadrera. Nacque subito un’amicizia, avevamo lo stesso nome, ricordo che mi puntò il dito e mi disse ‘Ti chiamerò Simone altrimenti qui facciamo confusione’. Da lì imparai ad arrampicare perché ero sempre dietro a lui”.
L’idea di aprire una via nuova in inverno sulla Nord-Ovest del Civetta, invece, è frutto della competizione che all’epoca c’era con gli alpinisti del gruppo Ragni: “Loro avevano intenzione di fare la prima invernale della Philipp-Flamm, mentre noi volevamo fare la prima invernale della Sud del Cervino, era il dicembre 1971. Dopo aver salito i primi 100 metri il nostro tentativo fallì a causa di una nevicata: fummo costretti a lasciare lì tutto il materiale e tornare a casa. Qualche giorno più tardi i fratelli Oreste e Arturo Squinobal, di Gressoney firmarono la prima invernale della Sud utilizzando due corde nuove che avevamo lasciato noi alla base del Cervino. Dopo questo episodio, allora, guardammo al Civetta: i Ragni temevano che andassimo a fare la prima invernale della Philipp-Flamm (realizzata successivamente sempre dai valmadreresi nel 1973, ndr), invece nacque la Via dei Cinque di Valmadrera. Riguardo ai fratelli Squinobal che avevano portato via le nostre corde li incontrammo il settembre successivo al Festival di Trento dove eravamo tutti invitati per le nostre invernali: chiedemmo conto dell’accaduto, ma tutto si risolse con una risata e una bevuta in compagnia”.
La taverna della sua casa di Ballabio, dove abita oggi, è un museo. Foto, appunti, libri, locandine di vecchie serate alpinistiche, cimeli di salite e spedizioni raccontano storie di vita e di montagna. Giorgio Tessari, dopo aver lavorato come dipendente, si è messo in proprio e negli Anni ’80 ha creato una azienda di carpenteria. Con grandi sacrifici ha sempre cercato di conciliare lavoro, famiglia e la grandissima passione per la montagna. Agli inizi degli Anni ’70 è diventato Guida Alpina, mentre tra la metà degli Anni ’70 e gli inizi degli Anni ’80 è stato presidente del Cai di Valmadrera.
Proprio questo carattere gli ha permesso pochi giorni fa di riabbracciare dopo 50 anni la croce del Civetta: “Ricordo tantissima neve, abbiamo dovuto batter la traccia per venir fuori dalla valle. Ricordo la sete una volta raggiunto il rifugio Torrani, dopo la vetta: ci scolammo un pentolone di tè dove mettemmo tutto lo zucchero a disposizione. Ripensandoci abbiamo avuto una forza incredibile: alle 16 eravamo in cima, all’una di notte arrivammo a Listolade. Il mattino successivo, sotto l’alberghetto dove avevamo deciso di dormire (lo stesso scelto da Tessari anche nei giorni scorsi), c’era una troupe della Rai di Venezia, ci fecero indossare i vestiti sporchi e ritornammo alla capanna Trieste per girare alcune immagini”.
Era un po’ di tempo che meditava di tornare in cima alla Civetta: “Devo ringraziare gli amici Massimo Magnocavallo e Gabriele Faggin che mi hanno accompagnato. Stare con loro è stato un grande stimolo. Il 4 agosto siamo partiti alle 5.30 dal rifugio Coldai e alle 9.30 eravamo in vetta. Sinceramente pensavo di metterci di più, ma Massimo e Gabriele mi han dato una grande carica”.
A sentire questi racconti si percepisce il carattere, lo spirito di gruppo e la forza di questa generazione di alpinisti. Quella di Giorgio Tessari non è solo una storia di montagna, dietro c’è molto di più: ci sono valori e insegnamenti che dall’alpinismo segnano il quotidiano: “Nel corso della mia vita ho sempre portato sulle spalle due sacchi: da una parte quello del lavoro e delle fatiche, dall’altra quello delle soddisfazioni e delle emozioni. A 80 anni posso dire che, è vero, i due sacchi sono belli pieni, ma se guardo bene c’è ancora spazio!”