Elezioni. Due sacerdoti scrivono ai candidati: “Scelte di senso e non ricerca del consenso”

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don Angelo Cupini

La lettera di Angelo Cupini e di don Mario Proserpio ai candidati sindaci

“Lecco non va rifondata da zero, la discussione finora è stata poco attenta alle realtà già esistenti”

LECCO – Due sacerdoti che abitano la città di Lecco da oltre quarant’anni scrivono ai quattro candidati a sindaco della città una lettera di riflessione con alcuni interrogativi. Si tratta di Don Angelo Cupini, fondatore della casa della comunità di via Gaggio e della Casa sul Pozzo di Chiuso, e di Don Mario Proserpio, parroco di Castello e cappellano del carcere di Pescarenico.

“E’ una comunicazione intensa – spiegano – che nasce dalla parte marginale della città. Sorregge il discorso una frase illuminante di Angelo Scola: liberi dall’esito di quel che facciamo. La lettera, indirizzata principalmente ai quattro Candidati e ai loro sostenitori”.

Don Mario Proserpio

“Gentili candidati

Nel ringraziarvi per la disponibilità a impegnarvi in prima persona per la città, vi proponiamo alcune riflessioni che derivano dalla nostra esperienza di vita e servizio sul territorio come preti. Da oltre quarant’anni abitiamo a Lecco, dove abbiamo cercato di partecipare attivamente alla vita della città stando al fianco delle persone più fragili e vulnerabili, giovani con problemi di dipendenza, adolescenti immigrati, persone in situazione di emarginazione sociale, carcerati.

Da questa particolare prospettiva abbiamo vissuto le profonde trasformazioni di Lecco, che da città a prevalente vocazione industriale è diventata città del terziario e ha cominciato finalmente a investire nelle potenzialità del bellissimo ambiente naturale in cui è immersa. Con le diverse amministrazioni comunali che si sono succedute dagli anni Ottanta abbiamo sempre ricercato il dialogo e la collaborazione, disponibili a mettere a disposizione la nostra esperienza e a dare il nostro contributo. Oggi non abbiamo particolari richieste da aggiungere all’elenco, già molto consistente, dei punti dei vostri programmi perché più che il “cosa” intendete fare una volta eletti ci interessa il “come”.

Per questo vorremmo condividere con voi alcune brevi riflessioni e domande che riguardano aspetti della vita della città ai quali pensiamo vada prestata attenzione. In quanto preti, come ha scritto in modo illuminante il cardinale Angelo Scola nella sua biografia, ci sentiamo “Liberi dall’esito di quel che facciamo. L’esito non è mai nelle nostre mani. [Ma] siamo riportati all’origine del gesto, a quel che l’ha generato, perché qui sta la fonte dell’energia con cui facciamo le cose, non nel risultato che potrà esserci o non esserci”.

Questa prospettiva, molto distante dalla logica delle campagne elettorali, pensiamo possa risultare utile per un confronto sul futuro della città perché indica come criterio-guida il senso delle scelte e non la ricerca del consenso.

Liberarsi dall’esito non significa non avere a cuore il cambiamento, non essere concreti; al contrario, obbliga a investire al massimo le energie individuali e collettive in una prospettiva di lungo periodo, scegliendo le priorità in funzione dell’efficacia per il bene comune e non in nome della visibilità immediata o secondo proiezioni soggettive e interessi di parte. Dunque, proprio perché l’esito non è nelle nostre mani, le mani di ciascuno sono indispensabili per restare connessi alla realtà e per ottenere risultati non effimeri. Abbiamo utilizzato questo criterio quando abbiamo cercato di rispondere ai bisogni di persone “invisibili” come sono i carcerati.

Casa Abramo è nata dall’incontro, come cappellano, con i detenuti del carcere di Pescarenico con lo scopo di offrire loro accoglienza e aiuto nella difficile fase del reinserimento sociale. L’esperienza, avviata con il supporto iniziale della parrocchia del Caleotto, è stata successivamente portata avanti dalla Caritas decanale. Ora Casa Abramo accoglie anche adulti in situazione di grave emarginazione sociale, che con i carcerati hanno in comune l’invisibilità sociale.

Il carcere, nella mappa di una città, è un “non luogo” che si preferisce ignorare, ma le persone recluse sono reali.

Abbiamo utilizzato questo criterio anche quando, come associazione Comunità di via Gaggio, quindici anni fa abbiamo deciso di occuparci del successo formativo degli adolescenti immigrati, in un momento in cui il fenomeno dell’immigrazione ancora non suscitava allarme sociale. Da allora il tema dell’integrazione degli stranieri ci sembra sia sempre rimasto sottotraccia nelle politiche locali di ogni colore, forse per assecondare una fraintesa domanda di sicurezza dei cittadini.

Domanda legittima, che però non esclude, anzi include, l’impegno ad assicurare pari opportunità alle giovani generazioni di immigrati. Gli stranieri a Lecco rappresentano oggi il nove percento della popolazione della città e la loro età media è sotto i quarant’anni. Sono un polmone di vita per una città che invecchia, oltre che uno straordinario laboratorio di umanità.  Riteniamo che la crisi economica, aggravata dal Covid19, non sia un motivo sufficiente per lasciare in secondo piano il problema dell’integrazione sociale degli stranieri, soprattutto degli adolescenti e dei giovani, vitale per la salute del sistema democratico e per la prevenzione del conflitto sociale.

Secondo quali criteri avete individuato le priorità della città?

A differenza delle elezioni politiche, le elezioni amministrative dovrebbero essere più a misura della realtà sia per i candidati sia per gli elettori. Non ci sembra che sia così. Vediamo uno scarto tra la dichiarazione dei valori di riferimento (es. partecipazione, solidarietà, sostenibilità ambientale…) e l’elenco delle azioni e degli interventi. Come sono connessi gli uni agli altri? Considerato il tempo del mandato che avete a disposizione e il fatto che le risorse non sono illimitate, secondo quali criteri pensate di individuare le priorità per la città? Rispetto alla scelta delle priorità, ci sembra emblematico l’esempio delle politiche per giovani, considerate prioritarie a parole, ma marginali nelle scelte effettive.

Quando, a metà anni Ottanta (nel secolo scorso!), l’associazione Comunità di via Gaggio è stata chiamata dal Comune di Lecco a collaborare alla realizzazione del Progetto Giovani della città la nostra preoccupazione non era quella di comporre il puzzle delle iniziative e delle occasioni da offrire ai giovani, ma di interrogarci su come potessero essere una risorsa per la città, su come favorire la loro transizione alla vita adulta offrendo reali opportunità per essere protagonisti. Dagli anni Novanta a oggi l’attenzione dell’Amministrazione nei confronti dei giovani è stata discontinua. E sebbene vada dato atto che nell’ultimo decennio sono stati realizzati progetti complessi, attivati servizi, si siano costruite reti, l’impressione è che le politiche per i giovani non abbiano l’organicità e l’incisività che i tempi esigono.

Abbiamo il polso della città e non solo lo sguardo puntato sui singoli problemi?

È innegabile che Lecco negli ultimi dieci anni sia diventata una città più vivibile e attraente, anche se permangono differenze tra i rioni. Ma siamo diventati anche più accoglienti, con uno sguardo capace di futuro e di trasmissione alle giovani generazioni? La risposta a queste domande richiederebbe una seria verifica di ciò che è stato fin qui realizzato. Ci sembra invece che in questa tornata elettorale sia difficile riconoscere la linea di ri – partenza. Certo, fa parte delle regole del gioco della campagna elettorale che l’Amministrazione uscente faccia un bilancio dei propri successi e che chi si candida evidenzi le carenze dei predecessori volendo marcare la discontinuità. Ma dato che non si tratta oggi di rifondare Lecco partendo da zero o da disegni personalizzati, quanto piuttosto di investire nel prossimo futuro, la conoscenza delle risorse delle esperienze presenti è indispensabile per la credibilità dei programmi. Ci sembra invece – e non da ora – che a questo si dedichi un’attenzione insufficiente.

La tentazione di ri-partire da sé causa spreco di competenze, di esperienze, dispersione di energie e di risorse non solo economiche.

Un territorio ricco, ma anche generativo? Andare oltre i luoghi comuni

Nell’ambito del lavoro/impegno sociale in cui operiamo pensiamo non ci si debba fermare alla constatazione che Lecco ha un solido tessuto associativo e un volontariato generoso. La densità delle esperienze non è di per sé un indicatore della capacità generativa del territorio. Sentiamo la necessità di andare oltre i luoghi comuni e di interrogarci, insieme alle altre realtà impegnate in questo ambito, su aspetti che sono dati per scontati, ma a nostro avviso non lo sono.

Uno di questi è, ad esempio, il senso e il funzionamento delle reti sociali, dei partenariati tra soggetti pubblici e del terzo settore. Per esperienza diretta di partecipazione a più reti sociali (la cui formalizzazione è ormai un requisito obbligatorio per la realizzazione di qualsiasi progetto e per l’accesso ai canali di finanziamento) ci sembra siano più funzionali a ciascuno nel portare avanti la propria attività e che a favorire un autentico scambio di competenze e conoscenze tra le realtà di volontariato e tra operatori professionali e volontari. Inoltre, nel quotidiano viviamo lo scarto tra la retorica sull’indispensabile ruolo del volontariato da un lato e un contesto istituzionale/normativo che rende sempre più complicata la vita delle associazioni, soffocate da adempimenti burocratici che sottraggono tempo ed energie.

Questi esempi dicono che la generatività di un territorio, così ricco come quello lecchese dal punto di vista ambientale e umano, non si può misurare usando come parametro la quantità di gruppi di volontariato, di servizi, o l’entità delle risorse dedicate ai progetti sociali. La generatività implica la capacità di riconoscere in modo sostanziale e non formale il valore dell’altro, senza mai perdere il contatto con la realtà, avendo come unità di misura la capacità di rispondere alle concrete domande delle persone e non quella di conservare il sistema che abbiamo, con le migliori intenzioni, costruito per rispondervi.

Il dialogo tra le comunità religiose

Per finire, vorremmo richiamare la vostra attenzione sulla presenza di diverse comunità religiose sul territorio della città. Avere presente l’energia che deriva dall’interiorità e dalla ricerca di senso vuol dire sollecitare le persone a diventare più attive e accoglienti, significa offrire alle nuove generazioni una memoria da custodire e da reinvestire. Il cardinale Carlo Maria Martini, parlando della difficile convivenza in un territorio tra le persone di culture e religioni diverse, ha utilizzato l’efficace immagine della “fermentazione reciproca” per indicare una possibile alternativa all’uccidersi a vicenda da un lato e al tollerarsi dall’altro.

Si tratta di un’alternativa molto impegnativa perché richiede la disponibilità a farsi trasformare dall’altro. Il dialogo è un modo concreto per aprire spazi di “fermentazione reciproca”, è terra d’incontro e confronto tra soggetti diversi che non abdicano alla propria identità, ma che nell’ascolto, nel confronto e in momenti di vita maturano una nuova conoscenza di sé e imparano a contribuire alla crescita del bene comune. Questa è la sola via che porta a costruire un’alternativa reale agli scontri tra i popoli e alle loro civiltà.

Il dialogo può essere ponte tra comunità religiose, può aiutare a superare stereotipi che tentano di rinchiudere le diverse confessioni in mondi separati, isolati, nei quali ognuno è attento a difendere il proprio recinto. Spesso incomprensioni, distanza e ignoranza verso l’altro alimentano l’intolleranza, fomentano le violenze e accendono le guerre.

In concreto, a livello locale, con la comunità musulmana lecchese abbiamo stabilito un dialogo non a partire da proclamazioni di principio ma coltivando rapporti di buon vicinato e di amicizia. Così è nata nel 2019 l’iniziativa della cena della fraternità universale ed è stato proposto, nell’ultimo Ramadan, il percorso di accompagnamento con l’iman del Centro culturale Assalam “Ayat/Segni” tratti dal Corano e dal Vangelo.

Conclusione

Il nostro sincero auspicio è che nei prossimi cinque anni Lecco diventi capace di aderire in modo forte alla storia locale e nello stesso tempo di dialogare con l’Europa e con il mondo, che sviluppi un quotidiano fecondo con l’essenzialità che è la caratteristica del nostro territorio – montagna, acqua, lavoro, sobrietà, resistenza, fiducia, operosità – ma con una maggiore capacità generativa”.