Più volte, in questa rubrica, ho cercato di valorizzare l’importanza delle capacità immaginative e della visualizzazione evidenziando il fatto che esse abbiano un riscontro sul reale, anche quando a volte il legame non sembri, all’apparenza, immediato.
Il problema è che spesso (a ragione, oppure no) abbiamo la tendenza ad essere pragmatici: se non vedo subito la differenza, allora non ci credo! Se non ottengo il risultato, allora non vale la pena.
E’ quello che spesso avviene quando, in psicologia dello sport, vengono poste le prime richieste sulle attività di visualizzazione: per l’atleta esse risultano essere compiti “strani” (nel migliore dei casi) ma anche “inutili” e persino “stupidi”…
Bisogna essere onesti: ogni volta mi metto nei panni dello sportivo e comprendo il suo dubbio, perciò spendo molto tempo anche solo per spiegare il funzionamento neuromotorio che ci caratterizza e del perché sia fondamentale imparare a visualizzare in maniera sistematica e ripetuta.
Per fortuna le neuroscienze non stanno ferme nel frattempo e, giorno per giorno, nuove scoperte e applicazioni fanno capolino nella nostra realtà dando sempre più importanza ai processi immaginativi.
Ed è così che un’esperimento dell’Università del Minnesota rappresenta oggi una sensazionale applicazione pratica delle capacità di visualizzazione: il gruppo di lavoro capitanato dal professore di ingegneria biomedica Bin He è riuscito nell’intento di guidare un piccolo drone (una sorta di mini-elicottero) attraverso l’uso del… pensiero! Come è stato possibile? Che cosa si intende per uso del pensiero?
L’idea alla base è stata quella di sfruttare il principio per cui, quando noi visualizziamo un’azione, essa prevede l’attivazione di determinate aree della corteccia motoria in modo specifico, dei veri e propri pattern che identificano il movimento immaginato. Il passo successivo è stato quello di cercare di catalogare i diversi possibili pattern abbinati alle diverse possibili azioni fino a trovare i più puliti e discriminabili (cioè quelli con maggior corrispondenza e replicabilità fra pattern ed azione). I ricercatori hanno quindi scoperto che i migliori pattern sono quelli che governano il movimento delle mani ed hanno perciò creato un protocollo di azioni da far eseguire al campione sperimentale (alcuni studenti). Richieste come: “visualizza di chiudere il pugno sinistro” oppure “visualizza di chiudere il pugno destro” ed anche “visualizza di chiudere entrambi i pugni”. Ad ognuno dei partecipanti è stato fatto portare un casco con 64 elettrodi per la rilevazione dell’attività cerebrale (proprio come nel biofeedback, quindi non invasivo, ma semplicente da indossare) e a quel punto i segnali rilevati sono stati convertiti in comandi per il drone. Il risultato? Visualizzando il pugno sinistro il drone gira a sinistra. Visualizzando il pugno destro, gira a destra. Pensando di stringere entrambi i pugni il drone si solleva e si muove.
Il campione sperimentale ha dovuto seguire un percorso di preparazione per riuscire a visualizzare correttamente i propri pugni e, allo stesso tempo, creare pattern nitidi e simili nel tempo.
Le applicazioni future sono affascinanti: pensiamo quanto possa essere utile un meccanismo del genere per tutte quelle persone con forme di disabilità di vario tipo e invalidanti: coloro che non possono più muoversi potrebbero, forse un giorno, riuscire a governare l’ambiente esterno attraverso l’uso del pensiero. Facciamo un esempio banale: le protesi della mano. Esistono già dei modelli di mano artificiale in grado di compiere i movimenti delle dita attraverso la muscolatura del braccio (ancora funzionante) del paziente. Con il sistema del professor He sarebbe addirittura possibile far muovere quella stessa mano anche da coloro che non hanno più nemmeno il controllo della loro muscolatura.
Ovviamente si parla di un futuro non proprio dietro l’angolo (è dal 2004 che l’Università del Minnesota lavora su questo filone di progetti), ma è pur sempre una prospettiva motivante, da seguire con interesse.
Tornando invece al nostro mondo, quello della psicologia dello sport, quest’esperimento sicuramente dà maggior valore all’importanza dei processi immaginativi, che porta però anche a chiedersi se persino i pensieri, prima o poi, potranno essere ricondotti ad un semplice valore “unitario/misurabile” composto da pattern neuronali. Questa domanda, però, credo che resterà in sospeso ancora per molti anni.
Piuttosto è interessante fare una considerazione sul training che il campione ha dovuto effettuare per riuscire a “pilotare” il drone: in sostanza solo dopo aver appreso a visualizzare correttamente le azioni dei propri pugni i partecipanti sono stati in grado di far muovere correttamente l’elicottero. Ora facciamo finta che il nostro corpo sia come il drone da guidare: senza un corretto apprendimento psico-motorio i nostri gesti non saranno mai (o quasi) al 100% del loro potenziale e della loro efficacia.
Detto questo, vi lascio il link del video dell’esperimento e vi auguro una “buona visualizzazione”!
http://www.youtube.com/watch?v=rpHy-fUyXYk
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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport
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