Perchè i bulli sono bravi negli sport?

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Chiamiamoli bulli, teppisti, ragazzi disadattati, o con qualsiasi altro epiteto locale… non è importante, perchè sono facilmente riconoscibili, nelle scuole si sanno nomi e cognomi, sono temuti da molti e molto spesso, purtroppo, ricevono un consenso sociale proprio a causa di questa paura. Sia ben chiaro, questo articolo nasce da una premessa importante: parlerò del bullo nello sport, non del problema del bullismo che merita sicuramente di essere affrontato da un esperto del tema, io mi limiterò a fare una sorta di analisi della realtà nello sport.

Qualche tempo fa, stavo chiacchierando con un amico insegnante di scienze motorie e insieme siamo giunti ad una considerazione comune: molto spesso, i personaggi “problematici” a livello comportamentale, sono anche quelli che dimostrano ottime doti nello sport. Partendo da questa constatazione abbiamo cercato le possibili motivazioni di questo fenomeno e siamo giunti ad alcune considerazioni.

Prima fra tutte è emersa la versatilità corporea del bullo. Cosa si intende? Semplicemente il fatto che la maggior parte dei bulli vive all’aperto, per strada, incontrando molti stimoli motori ed anche in maniera piuttosto precoce, poichè spesso il bullo appartiene a gruppi con diversi range di età che si formano fin dall’infanzia. Questo dipende anche dal fattore familiare: a seconda delle difficoltà esistenti, la casa può essere un luogo ostile per il ragazzo e perciò egli cercherà di starne fuori il più possibile. Se ci pensiamo un attimo questo è proprio in controtendenza rispetto a quello che è lo stile di vita al giorno d’oggi fatto di appartamenti, pochi giardini e di un mondo che si può racchiudere in una stanza attraverso new media sempre più evoluti. Di certo un bambino può sempre praticare nuoto, calcio, basket e qualsiasi altro sport a cadenza settimanale, ma è un approccio selettivo, su determinati movimenti e con un tempo prestabilito.

Il bullo… si allena sempre, in strada vive la vita da un punto di vista motorio, naturale, ogni giorno esce e non sa cosa lo aspetta, sia che siano azioni positive (un calcio ad un pallone?) sia che siano manifestazioni di comportamenti antisociali. Certo è che questo non fa che favorire lo sviluppo complessivo delle sue abilità motorie.

L’altro lato della medaglia è la sensazione di abbandono vissuto, ma che nello sport può addirittura trasformarsi in una percezione di autonomia delle proprie azioni, che sono per se stesso e per nessun altro (motivazione intrinseca) e che potrebbero favorire lo sviluppo di una buona resilienza ai fattori esterni (pubblico, allenatori, detrattori, etc.).

Un altro elemento decisivo nel determinare le capacità sportive del bullo riguarda gli aspetti motivazionali: spesso si tende a citare il “senso di rivalsa”, delle proprie origini o della propria situazione attuale o passata. Questo fattore sicuramente è un grande propulsore ma credo che ci sia un ulteriore elemento da non sottovalutare, che probabilmente è anche più immediato nella vita di tutti i giorni del bullo: il mantenimento dello status attraverso la manifestazione della propria forza. Il bullo non può permettersi di perdere: un bullo che non appare forte, non può essere un bullo. Perciò è “costretto” a dimostrare continuamente le sue caratteristiche: lo fa praticamente ogni giorno quando molesta le sue vittime, ottenendo in cambio una maggior sensazione di forza su di sè (ovviamente si tratta di un comportamento disfunzionale nel tempo) in un circolo che si autoalimenta. Ecco quindi che il confronto sportivo non è altro che uno di quei momenti in cui deve prevalere, pena la perdita di parte del suo valore. Probabilmente non si è nemmeno in una condizione di pressione da gestire, ma si è proprio ad un livello successivo, quello di fuga o lotta. Fattori di personalità tipici del bullo (orgoglio e aggressività fra tutti) faranno pendere l’ago della bilancia verso la seconda opzione.

Nel complesso abbiamo quindi una persona naturalmente predisposta all’attività fisica sospinta da una forte motivazione intrinseca. Ma se questo è vero per i giovanissimi, va però detto che crescendo queste qualità tenderanno a decadere se non coltivate: purtroppo il bullo rischia di rovinare sia la parte fisica (attraverso l’uso, o peggio ancora l’abuso, di sostanze) sia quella motivazionale poichè molto spesso non è preparato a sopportare la frustrazione delle sconfitte della vita.

Da questa breve analisi possiamo però ricavare due fattori da non sottovalutare che, al di là del bullo, possono essere delle buone indicazioni per chiunque:

1) facciamo in modo che i nostri figli assaporino la vita all’aperto, il gioco libero privo di schemi, oltre a fornire loro delle attività ben regolamentate. Non priviamoli degli innumerevoli stimoli ludico-dinamici del mondo esterno (molto spesso più per pigrizia del genitore, che per mancanza di richiesta dal bambino).

2) Sviluppiamo il “valore della rilevanza personale” per le cose che fanno, che sono svolte e vissute da loro in prima persona. Di certo non è necessario eliminare la presenza del papà o della mamma durante l’attività sportiva, ma essa non dovrebbe mai essere ossessiva: “sono qui, ti guardo, ma magari ogni tanto faccio una telefonata o vado a bermi un caffè. Lo faccio perchè voglio che lo sport sia importante per te, so che ci tieni alla mia presenza, ma so anche che ci tieni al fatto che io non mi intrometta!”.

Provateci!

Dott. Mauro Lucchetta
Per domande o dubbi: mauro.lucchetta@psicologiafly.com
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