LECCO – “In Europa la prima causa di disabilità, ancor prima dell’infarto e dell’ictus, è la depressione. E’ il primo fattore di assenza dal lavoro, con problemi che coinvolgono non solo il paziente ma anche nei suoi famigliari. Ha costi sociali molto elevati ma, nonostante tutto, la maggior parte delle persone depresse non arriva ad essere trattata”.
E’ l’allarme lanciato dal direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera Provincia di Lecco, il Dott. Antonio Lora, ad aprire la nona puntata di “Day Hospital”, la rubrica di Lecco Notizie che ogni venerdì ci porta alla scoperta dei reparti dell’Ospedale Manzoni.
Questo capitolo ci permette di conoscere il mondo della psichiatria del nosocomio lecchese, guidati dalla voce autorevole del Dott. Lora, il quale, con oltre trent’anni di carriera alle spalle ed altrettanti di collaborazione istituzionale presso la Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia, dal 2003 è consulente per il Dipartimento Salute Mentale e Abuso di Sostanze dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di Ginevra.
Al Manzoni da circa due anni, il direttore è a capo di una struttura che si occupa di ben quattro mila utenti su tutto il territorio provinciale, grazie ad una struttura capillare che abbraccia gran parte del territorio lecchese: il dipartimento , infatti, si trova per lo più fuori dalle mura dell’ospedale, dove sono invece presenti solo due reparti di degenza per i casi più acuti, rispettivamente al Manzoni (16 pazienti) e al Mandic di Merate ( 8 pazienti); il dipartimento si ramifica poi nei Centri Psicosociali di Lecco, Merate e Bellano, nelle strutture ambulatoriali di Introbio, Oggiono e Mandello, nelle Comunità Riabilitative di Casatenovo, Cernusco Lombardone, Garlate, Bosisio Parini e nei Centri Diurni di Lecco e Merate.
Circa 24 medici ruotano sulle diverse sedi del dipartimento, accompagnati da un numero consistente di assistenti sociali e di infermieri che assistono ogni anno ad un migliaio di nuovi pazienti.
“Generalmente l’utente viene inviato al Centro Psicosociale dove avviene una presa in carico ambulatoriale differenziata rispetto ai problemi riscontrati – spiega il Dott. Lora – in alcuni casi sarà solo una consultazione con il medico di Medicina Generale, in altri può esserci un’assunzione in cura da parte dello specialista psichiatrico o dello psicologo; in altri ancora, più seri e complessi, a queste figure professionali si può affiancare anche l’assistente sociale, l’infermiere o il riabilitatore. Quindi, nei casi gravi, oltre all’azione del Centro Psicosociale, intervengono per i ricoveri i Centri diurni o le strutture residenziali. Avere al proprio interno diverse professionalità e diversi tipi di strutture, che permettono di erogare una gamma completa di interventi è il nostro punto di forza”.
“Un’altra via d’accesso ai servizi offerti dal dipartimento – spiega il primario – è il Pronto Soccorso, dove possono verificarsi ricoveri legati ad episodi di ansia e depressione. La persona viene successivamente seguita dalla diverse strutture in base alla serietà del problema; se indirizzati verso il Centro Psicosociale, è garantito un colloquio entro 7 giorni lavorativi”.
Come denunciato all’inizio della nostra intervista, il primario ha evidenziato come le patologie che vanno ad intaccare la salute mentale siano spesso sottovalutate dai diretti interessati, i quali lasciano passare anche mesi prima di rivolgersi allo specialista oppure evitano di chiedere aiuto per timore:
“La chiusura degli ospedali psichiatrici, con la legge 180 nel 1978, e la costruzione di servizi sul territorio ha voluto dire una cosa importante: la riduzione dello stigma, della paura rispetto alla malattia mentale; la presenza di ospedali psichiatrici faceva si che le persone andassero a curarsi solo quando disperate. Uno degli obbiettivi che ci poniamo costantemente – rivela il Dott. Lora – è quello di sfatare le false credenze sulla malattia mentale, quindi che siano incurabili, che rivolgersi allo psichiatra voglia dire imboccare una strada senza uscita, che i farmaci siano come le droghe. Ci sono alcuni disturbi di cui si può guarire ed altri che si possono stabilizzare: oggi conosciamo meglio quali siano le forme di psicoterapia più efficaci a seconda del disturbo e tecniche di psico-sociali che coinvolgono direttamente i famigliari. L’anello conclusivo è l’inserimento lavorativo e quindi una delle vittorie importanti per il paziente. I prossimi dieci anni saranno quelli in cui ci si renderà realmente conto dell’importanza della salute mentale e del curarsi; ancora oggi, però, ci troviamo di fronte a persone che hanno paura di rivolgersi al medico, con situazioni che crescono costantemente finendo per aggravarsi sempre più.
Abbiamo un servizio che si occupa del trattamento dei giovani con disturbi mentali anche gravi e che li tratta molto intensamente fin dall’inizio, ma il vero problema – spiega il dottore – è che questi ragazzi arrivano dopo 6 mesi o addirittura ad un anno di distanza dal manifestarsi del problema. Loro sono quindi in una condizione più seria e la loro famiglia è sfiancata dalla situazione. Queste cose possono essere evitate con una presa in carico precoce”.
Tra le patologie affrontate con maggiore frequenza , come già anticipato, un ruolo di primo piano è occupato dalla depressione: “Una malattia trasversale, con origini sia psicologiche che biologiche e che colpisce grossomodo il 3-4% della popolazione, anche se una percentuale maggiore di italiani, circa il 10 % , lamenta sintomi di tipo depressivo. Siamo comunque di fronte ad una patologia assolutamente curabile attraverso psicoterapie e farmaci estremamente efficaci e con pochi effetti collaterali”.
Ben più grave è invece la schizofrenia, un male che colpisce mediamente lo 0,5-1% della popolazione, con disagi molto più seri per il paziente e contrastati con terapie farmacologiche, oltre che servizi per la riabilitazione perché, come spiega il dott. Lora, “queste persone tendono a perdere le abilità che hanno e a chiudersi progressivamente in un mondo più povero”.
In casi come questi, così come per la depressione, urge quindi un problema di prevenzione ma soprattutto di rompere quel muro di silenzio che spesso può portare anche a gesti estremi, come i suicidi:
“Una cosa senz’altro utile sarebbe che alcune figure di riferimento per l’opinione pubblica si mettessero a nudo dicendo di aver sofferto di depressione, così come è stato negli anni 60 e 70 per i tumori. Una scelta di questo tipo, con la testimonianza di un esperienza certo difficile ma lasciata alle spalle, permetterebbe di approcciarsi a questo male in modo differente”.