Il Covid 19 si sta dimostrando poco aggressivo nei confronti dei più piccoli, ma a preoccupare sono i risvolti legati alle nuove povertà e alla mancanza di socialità
Pediatra e neonatologo del Dipartimento Materno infantile dell’Asst Lecco, il dottor Bellù ha risposto a dubbi e domande sul rapporto tra coronavirus e bambini
LECCO – Non sono i più esposti ai rischi, anche gravi, correlati all’infezione da Covid 19, ma sono tra quelli che potrebbero pagare lo scotto più grande per le conseguenze indirette legate alle strategie di contenimento della diffusione del virus. Stiamo parlando dei bambini che, dall’oggi al domani, si sono visti abitudini e quotidianità stravolti e mutati dall’emergenza epidemiologica in atto. Niente più asilo e scuola con compagni e maestre già da fine febbraio, niente più parchi giochi con gli amici, sport e passeggiate dopo il lockdown nazionale. Lo spettro di nuove povertà che incombono. E, se non bastasse, anche i nonni confinati a distanza di sicurezza, costretti a racchiudere in una video chiamata tutto il loro affetto per i nipoti.
In un attimo e all’improvviso, l’architrave su cui si reggeva, per la stragrande maggioranza dei casi, l’equilibrio delle famiglie italiane, è stata scardinata e due categorie, di solito abituate a camminare a braccetto, si sono trovate involontariamente contrapposte. Da una parte i nonni, la parte di popolazione che si è rivelata quella più esposta all’aggressività del virus, dall’altra i bambini che, seppur mediamente asintomatici, potrebbero risultare degli involontari vettori di contagio. Uno scenario inedito su cui l’intera società italiana si sta interrogando alla luce anche dell’ormai imminente avvio della fase 2. In Italia non si parla di tornare in classe prima di settembre e ci sono dei dubbi su come si potrà garantire il distanziamento sociale soprattutto per i più piccoli. In Francia invece il Governo ha deciso di riaprire le scuole prima ritenendo i bambini poco contagiosi.
Abbiamo chiesto al dottor Roberto Bellù, pediatra e neonatologo di lungo corso, nonché direttore del dipartimento Materno infantile dell’Asst Lecco, di chiarirci alcuni dubbi e domande sul rapporto tra bambini e coronavirus.
I bambini sono o non sono contagiosi?
“Iniziamo con il dire che siamo di fronte a un virus nuovo. Abbiamo cioè ancora pochi dati a disposizione su cui basarci. Quello che possiamo dire è che i bambini potrebbero essere inconsapevolmente portatori di contagio perché spesso asintomatici o paucisintomatici. E’ altrettanto vero che si ipotizza anche che la carica virale sia minore, ma non abbiamo dati certi che ci permettano di correre il rischio di porre, ad esempio, i bambini vicino ai nonni, la fascia di popolazione più esposta alle conseguenze più gravi di questa pandemia”.
Come si sta comportando il Covid 19 con i bambini?
“In linea di massima, fatte le dovute eccezioni, i bambini hanno avuto rispetto agli adulti un decorso della malattia meno grave. Sia in Italia che all’estero sono stati registrati meno casi di ricoveri pediatrici in ospedale e anche in questi casi la gravità è stata minore”.
Anche su Lecco è stato così, almeno per ora?
“Sì. Dall’inizio dell’epidemia abbiamo avuto 5 casi di bambini ricoverati in Pediatria all’ospedale Manzoni, presidio che è diventato hub per tutta l’Asst di Lecco dopo la conversione della pediatria del Mandic di Merate a reparto Covid per fronteggiare l’emergenza. Tra l’altro, non in tutti i casi il motivo del ricovero è stato, almeno inizialmente, il covid. A conferma della non gravità dei casi da noi affrontati, posso aggiungere che non abbiamo mai fatto ricorso alla ventilazione artificiale per i bambini ricoverati”.
E’ presumibile pensare che molti più bambini siano stati però infettati da covid 19?
“Sì, è possibile. Abbiamo notato ed è un’opinione condivisa anche con i pediatri presenti sul territorio, che spesso i bambini sono appunto asintomatici o manifestano scarsi sintomi, del tutto riconducibili a stati influenzali. Quindi il fatto che il virus non sia risultato, statistiche alla mano, particolarmente dannoso nei confronti della popolazione più giovane, non ci permette di affermare che i bambini non siano purtroppo possibili portatori di contagio”.
Anche perché con i più piccoli è difficile far rispettare in maniera scrupolosa le indicazioni igienico sanitarie di base…
“Sappiamo benissimo che per sua natura un bambino è sempre alla scoperta di tutto. Mi verrebbe da dire che sia il suo mestiere mettere le mani dappertutto. Per questo, gioco forza, è difficile riuscire a fargli osservare sempre e in maniera scrupolosa le misure di prevenzione individuate per evitare il contagio”.
L’obbligo di indossare la mascherina riguarda anche loro?
“Sì, a partire dai 2 anni. Con tutte le difficoltà del caso, è ovvio”.
Fortunatamente il virus non sembra essere molto aggressivo nei confronti dei più piccoli. Si può però parlare di danni indiretti provocati dalla vita “sospesa” a cui ci ha costretto il virus?
“E’ quello su cui ci stiamo confrontando ogni giorno con i colleghi. E’ fuori di dubbio che questa situazione sta privando i bambini di molte loro necessità, a iniziare da quella alla socialità e al confronto con i propri pari passando per l’istruzione, solo parzialmente surrogata dalla lezioni a distanza. C’è poi tutto l’aspetto del danno economico che questa emergenza comporterà, facendo emergere nuove povertà. Non dimentichiamo poi i casi in cui in famiglia ci siano stati contagi o lutti dovuti al coronavirus. Tutti danni indiretti, ma non per questo necessariamente meno importanti”.
La Fase 2 non sarà quindi ancora quella della piena libertà per i più piccoli e per le loro famiglie?
“Penso che la prudenza debba guidarci per evitare di trovarci in situazioni che risulterebbero difficili da gestire poi. Usando una metafora ciclistica, la discesa è difficile e pericolosa tanto quanto è impegnativa la salita. L’epidemia non è ancora sotto controllo a tal punto da permettere di tornare completamente alla situazione ex ante. Sarà molto interessante analizzare come andrà con la riapertura delle attività a partire dal 4 maggio e capire quindi come procedere”.
La scuola riaprirà a settembre?
“Spero di sì per via del ruolo fondamentale e insostituibile che riveste per gli studenti. Sappiamo benissimo che andare a scuola non equivale ad apprendere solo nozioni. E’ molto di più. Bisognerà però mettere sul piatto della bilancia i pro e i contro e capire qual è la situazione alla luce dei mesi estivi. Una decisione, chiaramente, che dovrà prendere la politica”.
C’è qualche aspetto che vi preoccupa maggiormente tra quelli conseguenti all’epidemia da coronavirus?
“Sì, il possibile mancato accesso ai servizi medici dedicati all’infanzia per paura della “contagiosità” degli ospedali o degli ambulatori territoriali. Al momento è un fattore che non abbiamo ancora riscontrato, a differenza di quanto avvenuto ad esempio tra gli adulti dove sono diminuite le persone che si sono recate al Pronto Soccorso in caso di infarto o scompensi cardiaci. Vogliamo ribadire che i controlli vanno sempre effettuati e portati avanti senza lasciarsi prendere da timori o paure. Come Asst abbiamo ad esempio attivato un grande progetto di cura, controllo e monitoraggio del diabete giovanile: un servizio che sta andando avanti e che deve andare avanti anche con il prolungarsi della situazione epidemiologica in atto”.
Ci sono anche altri aspetti?
“Sì, tutti quelli legati alle nuove povertà, non solo economiche, che emergeranno. Penso a tutto il settore della disabilità su cui la nostra Neuropsichiatria sta già facendo un lavoro enorme e importante. E’ indubbio che questa crisi sanitaria metterà in evidenza nuove fragilità”.
In questa emergenza sanitaria si è cercato di ridurre la mancanza di contatto fisico con gli strumenti tecnologici. Cosa ne pensa?
“La tecnologia ci è venuta senza dubbio in grande aiuto. Ma il rischio è che si allarghi nuovamente e ulteriormente la forbice della diseguaglianza tra chi ha e chi non ha: dai computer ai tablet, passando per la connessione alla rete e anche la capacità di utilizzare questi strumenti. Il vero rischio che intravedo per i bambini legato a questa emergenza epidemiologica è proprio quella delle nuove povertà economiche e sociali, oltre al deficit di relazioni sociali che lo stare a casa comporterà”.