DERVIO – “L’eventualità di un forno crematorio all’interno del recinto cimiteriale di Dervio è oggetto di vivace polemica sulla stampa locale e di una raccolta di firme. Certamente neppure la morte è senza impatto ambientale”.
Così il Circolo Lario Sponda Orientale di Legambiente sulla proposta di progetto avanzata dal Comune di Dervio.
“Il Comune ha inviato la richiesta di realizzare il forno alla Direzione Welfare della Regione Lombardia, competente a rilasciare l’autorizzazione previa istruttoria prevista a partire dal 1° gennaio 2021. Pensiamo che, in assenza del provvedimento interministeriale previsto dalla Legge 130/2001 e mai emanato, la Regione avrebbe dovuto predisporre un Piano per una efficiente e ambientalmente sostenibile realizzazione degli impianti sul territorio fon attenzione ai bacini di utenza al fine di limitare gli spostamenti Regione Lombardia ha definito i criteri di valutazione delle richieste di impianto avanzate dagli enti locali a seguito di proposte di project financing da parte di soggetti privati, con occupazione di suolo pubblico”.
“I criteri contenuto nel Decreto N. 13065 del 30/10/2020 della Direzione Generale Welfare della Regione Lombardia – continuano da Legambiente – oltre a prescrivere che la combustone non sia alimentata da energia elettrica, si riferiscono al calcolo della popolazione e della mortalità dei territori di utenza, comunale, provinciale e regionale, senza considerare la localizzazione e l’attività effetiva degli impianti esistenti, al fine di delineare la distribuzione sul territorio dei nuovi crematori. Non è da trascurare il problema delle emissioni in atmosfera, anche per la mancata definizione di quanto si possa bruciare, per esempio le casse multimateriali per le quali non conosciamo direttive. L’ISDE Italia (Associazione medici per l’Ambiente) già nel 2016 ha richiamato l’attenzione sui possibili rischi per la salute connessi alle emissioni di diverse sostanze tossiche: particolato fine/ultrafine, monossido di carbonio, ossidi di azoto e zolfo, compost organici volatili, compost inorganici del cloro e del fuoro, metalli pesanti, mercurio dalle protesi dentarie, diossine-furani. Come in tute le forme di combustone, la quantità di inquinanti emessi è in rapporto alla quantità di materiale bruciato”.
“La Direttiva regionale prescrive un minimo di due linee con almeno 1200 cremazioni l’anno ciascuna, numero di gran lunga superato negli impianti in funzione. Crediamo necessario superare le iniziative locali, che pur portando denaro alle casse comunali oggi in sofferenza, alimentano un ben più importante business privato che ha interesse ad allargare il bacino d’utenza e di conseguenza il numero di cremazioni (ad Albosaggia nel 2018 sono state 5600)”.
“Ribadiamo la necessità di una programmazione regionale con attenzione ai bisogni e alle caratteristiche dei territori, per una risposta razionale alla crescente domanda di cremazione che riduca il tragitto di trasporto delle salme. Occorrono inoltre norme precise su quanto sia ambientalmente sostenibile incenerire nei forni crematori. Devono essere garantiti i controlli dell’ARPA prima e durante l’attività del forno anche con frequenza maggiore di quella prevista (una volta all’anno o sei mesi per gli impianti più attivi)” concludono gli ambientalisti.