Famiglie e Fase 2, parlano i genitori: “Noi al lavoro e i nostri figli chi li cura?”

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Da lunedì riaprono molte attività lavorative: sono tante le famiglie in difficoltà per la gestione dei bambini piccoli

L’epidemia da coronavirus sta mettendo a dura prova l’organizzazione familiare italiana basata sui nonni, categoria che si è rivelata più a rischio covid 19

 

LECCO – Verrebbe da chiedersi come si faceva a lamentarsi prima. Quando le scuole e gli asili nidi erano aperti e i nonni potevano ancora esercitare in piena facoltà il loro ruolo di aiutanti tutto fare per mamme e papà.
Chiusi le scuole e i servizi per l’infanzia a partire dal 24 febbraio, i genitori sono stati chiamati a inventarsi all’improvviso una nuova routine fatta di lezioni a distanza per i più grandi e di lavoretti per i più piccoli, dovendo poi fare i conti, via via che l’emergenza sanitaria si aggravava, con i nonni confinati a distanza e i parchi giochi chiusi. Nel mezzo un lavoro da svolgere in ufficio o in fabbrica (laddove l’attività è rimasta aperta) oppure in smart working, una possibilità che si è rilevata tutto fuorchè… agile per chi ha bimbi che gironzolano per le stanze.

Un’emergenza nell’emergenza che rischia di esplodere ancora di più nei prossimi giorni, quando, allentata la morsa del lockdown, diversi genitori dovranno tornare entrambi a lavorare. Le misure fin qui individuate dal Governo (congedo parentale di 15 giorni e bonus baby sitter di 600 euro) per venire incontro alle famiglie sono giudicate da più parti insufficienti e parziali: lo stesso premier Giuseppe Conte ha promesso a più riprese nuovi provvedimenti. E così, allo stato attuale, molte famiglie saranno costrette, loro malgrado, a lasciare i bambini ai nonni. Con timori, dubbi, fatiche e richieste che abbiamo raccolto (dopo aver intervistato ieri Rocco Briganti, esperto nel settore educativo) nelle storie che vi proponiamo in questo articolo.

Francesca a casa in smart working con 3 figli

La famiglia di Francesca Frassine da lunedì entrerà davvero nella cosiddetta Fase 2. Mamma di tre bambini di 9, 7 e 4 anni, Francesca, educatrice in una cooperativa di Lecco, è a casa a Valgreghentino da febbraio. Con lei, dai giorni del lockdown in avanti, anche il marito, la cui azienda è in cassaintegrazione fino al 4 maggio. “E io lunedì non so come farò. Sto lavorando in smart working cercando di conciliare le attività dei mie figli con quelle che stiamo portando avanti come cooperativa attraverso la didattica a distanza. Seppur con una riduzione di ore, stiamo infatti continuando con i progetti di assistenza agli studenti e alle famiglie in difficoltà”. Alla mattina spazio quindi ai compiti e alle attività dei figli e al pomeriggio largo a quelle degli alunni. “Finora ci sono riuscita perché mio marito è stato a casa in cassa integrazione. Da lunedì però rientrerà al lavoro e non so come potrò fare. Oltre alle lezioni da preparare e alle dirette da fare, ci sono infatti le verifiche e i colloqui da tenere tra colleghi”.

Inutile dire che la scelta privilegiata sembra quella di chiedere una mano ai nonni, sempre pronti a mettere una pezza laddove la coperta appare troppo corta. “Lo facciamo partendo dal presupposto che i miei genitori sono ancora giovani. Ma non è una scelta facile. Anzi. Ho pensato a ricorrere anche alla misura del congedo parentale, ma sinceramente non mi va di lasciare da soli i miei alunni e neppure posso permettermi di vedere ridotto lo stipendio del 50% per i giorni in cui non lavoro. Quanto al bonus baby sitter, ho presentato la domanda all’Inps per valutare anche questa strada. Ma non so se andrò fino in fondo”. Tanti i dubbi che assalgono le mamme in questi giorni. Oltre alle classiche paure legate all’affidamento a un estraneo del proprio figlio, ora c’è pure il timore del contagio reciproco: “Dovrebbero stare tutti in casa con la mascherina, a distanza di sicurezza. Non mi sembra di così facile attuazione”.

Silvia, alle 6 in ufficio per rispettare i turni Covid 19

Un’opinione condivisa anche da Silvia, che in queste settimane non ha mai smesso di lavorare. Impiegata in una ditta situata a 30 chilometri di distanza da casa, si è vista la giornata lavorativa rivoluzionata dall’emergenza covid 19. “Per evitare affollamenti in ufficio abbiamo dovuto riorganizzare la giornata in turni. Il che vuol dire che non lavoro più dalle 8.30 alle 17.30, ma dalle 6 alle 13. Dovendo percorrere parecchia strada in auto, mi sveglio all’alba per poter essere in auto alle 5.30 e timbrare per le 6. In queste settimane mio marito è a casa in smart working e così riesce a curare lui nostro figlio fino al risveglio portandolo poi da mia madre. Ma come faremo quando anche lui dovrà andare fisicamente a lavorare?”

Una domanda intorno a cui ruotano tanti altri interrogativi: “Purtroppo non ho alternative a mia madre, ma so che i nonni sono la categoria più esposta. Non è stata quindi una scelta che ho preso a cuor leggero, ma le soluzioni fino a qui individuate non sono soluzioni. Non posso permettermi il congedo parentale perché si parla di 15 giorni pagati al 50%. E non ho preso in considerazione la baby sitter perché, al di là della questione economica, non mi sembra questo il momento più indicato per lasciare dei bambini con una persona estranea”. Silvia non ha dubbi: “Purtroppo si sono dimenticati delle famiglie, forse perché questo è un problema troppo grosso da risolvere. Famiglie a cui magari viene comunque chiesto, come nel nostro caso, il pagamento della retta della scuola materna, decurtato dai buoni pasto. 90 euro che escono ogni mese senza che mio figlio frequenti la struttura”.

Claudia e le lezioni preparate a pranzo e cena

C’è chi poi, lavorando a scuola, in questi mesi di pandemia è rimasto a casa. Claudia Mauri è insegnante alla scuola secondaria di primo grado e dal 24 febbraio convive h 24 con i suoi due bambini. “Mi ritengo una privilegiata rispetto a tante altre mamme perché il mio lavoro mi permette di lavorare da casa senza dover chiedere una mano ai nonni. Una scelta che non farei mai per non rischiare di mettere in pericolo la loro vita dal momento che mio marito non ha mai smesso di lavorare ed è sempre in contatto con le persone”. C’è quindi un rischio contagio. “Non è facile restare a casa con due bambini piccoli e non è facile ritagliarsi il tempo per preparare le lezioni. Lavorare in smart working è arduo: hai davanti 25 ragazzi che giustamente esigono e meritano tutta la tua attenzione. E quindi preparo il tutto di sera e di notte facendo poi a pranzo le dirette. A risentirne è chiaramente la gestione familiare”.

Vera tra smartworking e rischio contagio

Anche la famiglia Viscardi ha vissuto in prima linea la paura del contagio con il papà impegnato, in qualità di operatore del soccorso, sul fronte dell’emergenza sanitaria. “Nei giorni più drammatici della pandemia mio marito ha lavorato anche 12 – 13 ore al giorno, dovendo stare giustamente a distanza da tutti noi” racconta Vera, insegnante di educazione fisica alle scuole medie. Niente abbracci, niente baci e spazi divisi in casa per evitare di esporre al rischio i propri affetti più cari. “Dato il lavoro svolto da mio marito, ci siamo di fatto messi in autoisolamento. Non sono stati e non sono giorni facili su tutti i fronti. Come scuola ci siamo dovuti organizzare per predisporre dal nulla le lezioni online. Nel mio caso, insegnando educazione fisica, non è stato semplice far capire ai ragazzi, confinati a casa tra lezioni a distanza e videogiochi, che devono fare dell’attività motoria in pochi metri. E non è stato facile neppure per noi organizzare il tutto anche perché eravamo impreparati a tutto ciò”. Strumenti ora entrati nella consuetudine come zoom e classroom erano di fatto ignoti ai più a febbraio. “Abbiamo dovuto riprogrammare la didattica, confrontarci, capire come procedere. Aspetti che adesso ci sembrano semplici e immediati prima non lo erano”.

Elisa, rimasta senza lavoro in piena emergenza sanitaria

E c’è chi, come Elisa Limonta in questa emergenza si è pure ritrovata senza lavoro. “La ditta per cui lavoravo part time ha cambiato sede spostandosi troppo lontano da casa. Ho quindi goduto tutte le ferie arretrate e fatto richiesta, a marzo all’Inps, del congedo parentale. Da aprile però sono senza lavoro. Mio marito lavora da casa in smart working ma da lunedì prossimo, con la riapertura dei cantieri privati, inizierà a dover uscire di casa e fare sopralluoghi e riunioni. Resterò a casa con nostro figlio di 5 anni. Di certo non è il momento più indicato per cercare un nuovo lavoro. Intanto ho presentato domanda per il bonus sui mutui proposto dalla Regione Lombardia attraverso il pacchetto famiglia”.