Ieri, domenica, il 30° anniversario dell’uccisione di don Isidoro Meschi, nato a Merate nel 1945
Il prevosto don Luigi Peraboni ne ha ricordato la figura durante la messa solenne: “Un sacerdote vicino alle persone fragili”
MERATE – Si è fatto carico delle persone più fragili fornendo una testimonianza autentica del motto evangelico dell’essere fratelli gli uni degli degli altri. Il prevosto don Luigi Peraboni ha voluto ricordare ieri, domenica, durante la messa solenne delle 11 l’indimenticata figura di don Isidoro Meschi, sacerdote nato a Merate nel 1945 ucciso trent’anni fa a Busto Arstizio, dove era parroco, per mano di un ragazzo disagiato di cui si prendeva cura al centro Marco Riva creato da don Isidoro per l’assistenza dei giovani con problemi di tossicodipendenza.
Un episodio brutale e feroce che ha lasciato un segno indelebile non solo nei familiari di Meschi ma in tutta la comunità meratese dove don Isidoro era nato e cresciuto. “Ero prete da tre anni quando avvenne la sua uccisione a Busto. Chiunque mi parlasse di lui, mi raccontava della sua fede e della sua vicinanza al Signore. Parole di cui ho avuto conferma venendo qui a Merate e ascoltando le testimonianze sulla sua fede coltivata da quando era bambino. Di lui non posso non evidenziare l’intelligenza della fede, ovvero la sua volontà di dare sempre ragione della fede che testimoniava e processava”.
Don Luigi ha poi voluto soffermarsi sull’attività concreta svolta in favore delle persone più fragili e disagiate da don Isidoro: “L’esperienza e la realtà che hanno caratterizzato la sua vita sono stati il suo desiderio e la convinzione di mettere in pratica la fede attraverso l’attenzione concreta alle persone più fragili e più povere. Non dimentichiamoci che in quegli anni era presente in diverse parrocchia e città la piaga della droga e si veniva a conoscenza di giovani che buttavano via la loro vita così. Don Isidoro un sacerdote che si è fatto carico di queste persone, cercando di individuare percorsi e esperienze concrete per uscire dalla droga e dalla fragilità. Penso che dopo 30 anni ricordare questo sacerdote debba esser per ciascuno di noi motivo di lode al Signore. Perché nel cammino della vita abbiamo incontrato una persona che ci ha dato una testimonianza autentica di cosa significa credere oggi valore cristiano di essere tutti fratelli”.