L’articolo che vi accingete a leggere contiene un’intervista fatta al sig. Corrado, uomo di 56 anni che frequenta il servizio di Centro Diurno della Cooperativa Accoglienza e Lavoro di Molteno (cooperativa sociale che si occupa da più di vent’anni della cura di tossicodipendenza e alcolismo).
La scelta di inserire all’interno di questa rubrica dedicata al sociale la testimonianza del sig. Corrado, risponde principalmente a due ragioni. La prima riguarda uno dei principi cardine su cui si fonda il lavoro di cura all’interno della cooperativa, ovvero il tentativo di dare voce alle persone e alle loro storie. La seconda, peraltro complementare alla prima, é la volontà di “gettare dei ponti” tra il fuori e il dentro, tra la comunità che la cooperativa gestisce e il territorio, tra le persone che frequentano i nostri servizi e i cittadini. Come già detto sopra questi sono due movimenti complementari in quanto il dare voce o, se volete, il prendere la parola, necessita sempre che ci sia qualcuno che quella parola l’ascolti. Da questo é nata l’idea di scrivere questo articolo.
Ci tengo inoltre a mettere in evidenza un altro punto. Questa intervista non vuole mostrare un percorso concluso, ne mettere in mostra l’efficacia di un metodo, al contrario le parole del sig. Corrado sono il segno di una risposta possibile. Sono la testimonianza dello sforzo messo in campo da entrambe le parti, l’utente e i curanti, per far fronte alla drammatica sofferenza che talune vite riserbano. E’ un lavoro in via di svolgimento che prevede, come ogni lavoro, una quota di fatica in primis del sig. Corrado. E’ un lavoro tutt’altro che semplice, tutt’altro che concluso o come dice più precisamente il sig. Corrado, un dialogo che non finirà mai.
Concludo questa introduzione all’intervista facendo notare che questo testo spinge anche a riflettere sull’idea di comunità, di istituzione terapeutica, a cui ci si riferisce.
Si tratta, a mio avviso, di mettere tra parentesi l’idea di comunità, o di istituzione di cura quale luogo trasformativo dell’individuo, a favore di una visione della comunità in quanto luogo dove, in primis, il soggetto trascorre parte della sua vita.
In altre parole il piano dei risultati non deve essere privilegiato a discapito del percorso effettivo, che è, innanzitutto, un tempo della vita del soggetto.
Corrado si trova seduto davanti a me, la polo che indossa gli lascia scoperti gli avambracci, dai quali si impongono alla vista numerosi tatuaggi. In particolare due scritte fatte con un romantico carattere corsivo, una per arto, sembrano rivolgersi direttamente al suo interlocutore. Una recita “la sfida della vita è più paurosa della morte” l’altra “non puoi cambiare la testa e il cuore di un bandito”. Decido di iniziare da lì.
Ha molti tatuaggi…
Ogni tatuaggio per me ha un significato, è un pezzo della mia vita. Cioè uso la mia pelle per scriverci sopra la mia vita. Beh… che la sfida della vita sia più paurosa della morte, si commenta da sé, è così. Vivere con una certo onore, con una certa etica, con una certa morale è una sfida incredibile, difficilissima, molto più facile morire.
L’altra scritta invece?
Non puoi cambiare la testa e il cuore di un bandito, significa che aldilà di tutto io non cambierò mai. Se uno nasce tondo non può morire quadrato, se uno entra nel mondo della droga… non voglio dire che tutto era predestinato, però…
Poi, il cuore di un bandito è la mia vocazione, che c’è sempre stata, a combattere contro questo sistema che ci sta mettendo a zero, il mio cuore è lì.
Perché proprio un bandito?
Perché io mi reputo un bandito non nel senso di un criminale, il bandito è il cartello che i nazisti mettevano al collo dei partigiani. Una figura romantica, che lotta contro le istituzioni, ma con delle regole ferree, con una morale.
Perché un bandito frequenta il centro diurno?
Il perché frequento questo posto si può dire in due parti. La prima è perché uscito dall’altra comunità e dall’alcool, c’era in me un’impreparazione alla vita normale, non sono mai stato capace di fare una vita normale. Di conseguenza trovandomi nella condizione di dover affrontare tutto senza alcool, molto lucidamente, mi sono spaventato molto.
Il consiglio che mi hanno dato era di trovarmi qualcosa di utile per il mio “rimettermi in sesto”. Ma la prima cosa era quella di stare in posto tranquillo, tra virgolette, lontano da tutto e da tutti.
Anche perché se mi venivano le tentazioni… non ho più il lavoro, ho degli hobby che però non mi impegnano tutta la giornata e stare a casa a far niente mi sarei messo molto a rischio.
Questo è il primo motivo?
Si
Il secondo?
Il secondo motivo era mettermi alla prova. Dopo aver affrontato tutte le mie paure… a proposito oggi sono due anni giusti che non bevo più.
Proprio oggi?
L’ultima birra l’ho bevuta il 5 giugno del 2011, quindi oggi sono due anni giusti che non bevo.
Complimenti…
Quindi, il secondo motivo era mettermi alla prova, mettermi a confronto con altre persone, anche con problemi di dipendenza, io non distinguo se da alcool, droga o psico-farrmaci, però da lucido.
E poi il venire qui mi dà come un senso di appagamento. Già a me essere qui mi sembra di essere utile agli altri, senza tante parole ma con i fatti della mia vita vissuta. Cioè io non voglio insegnare a nessuno cosa fare della sua vita, ma nessuno mi può dire che dalla droga e dall’alcool non si esce.
Una specie di esempio?
Si
Che rapporto ha con le persone che incontra in cooperativa?Certo non ho un rapporto di comodo. Io ho sempre cercato di dire e di fare quello che pensavo. Ho voluto provare ad essere sincero, cosa che non sono mai stato nella mia vita…
-silenzio-
Stava dicendo del rapporto con le altre persone…
Oggi come oggi ho un rapporto di distacco con gli altri utenti perché mi accorgo che non corrispondono le mie esigenze. Mi accorgo che le persone sono molto diverse da me, chi perché non ha ancora bene in testa quanto sia pesante, difficile, quanto sia impegnativo togliersi dalle sostanze; altri invece si illudono di aver capito tutto; altri ancora invece che sono persone fondamentalmente….non vorrei sembrare cattivo, ma che sembra che siano ignoranti e che gli piace rimanere tali. La difficoltà più grande è di non trovare interlocutori, purtroppo si parla troppo spesso di droga, di spaccio cose che non servono a cambiare.
Oppure ci si lamenta di quello che la comunità non fa per gli ospiti. Io nella vita non ho mai sputato nel piatto dove mangiavo, anche se era un mangiare amaro. Io vengo qua ma perché mi sta bene, nessuno mi ha cercato.
Proseguo con le domande, cosa ha trovato nella cooperativa?
Beh, intanto ho trovato un rapporto con il mio psicologo. Sicuramente questo è stato non per caso, perché le cose per caso non credo che accadano, ma perché era il momento giusto. Una delle prime cose che ci siamo detti è che il nostro dialogo non finirà mai. E’ uno spazio in cui una parte di me riesce ad aprirsi. A volte mi fa male, mi fa vergognare con me stesso, anche se è un vergognarsi in positivo
Cosa significa vergognarsi in positivo?
Significa che mi vergogno di cose che potrei benissimo fare ma che non faccio e anche che sono un uomo maturo, un uomo di una certa età che ancora non riesce a staccarsi dal suo giocare continuo. Prima niente era serio per me, anche adesso è un po’ così, ma in maniera più sforzata, adesso un po’ mi vergogno quando esagero nel vivere le situazioni con goliardia anzichè allegria.
E’ molto facile buttare tutto in “troie e trattorie”, se io penso alla mia leggenda personale, come direbbe Choelo, viene fuori che io ho sempre preso tutto per scherzo, ho sempre preso tutto sotto gamba dicendo “tanto poi qualcuno mi da una mano”. Adesso mi accorgo che non si può farlo sempre, non quando ci sono di mezzo le cose importanti come la famiglia. Se mio figlio sta male, non posso dirgli “va beh, chi se ne frega, facciamoci quattro risate insieme”; se vivo una situazione un po’ particolare con mia moglie non posso dire “va beh, vado da un’altra donna”…
Non so perché ma affrontare queste cose da “uomo grande”, in maniera seria, mi mette in imbarazzo. Però ultimamente questo prendere le cose per scherzo anziché seriamente si sta ridimensionando.
Da quando?
Da quando sono sobrio sicuramente…. avere il cervello lucido è un fardello pesante da portare, soprattutto quando hai dentro un passato in cui hai fatto cose non tanto belle. Ecco, affrontare chi sono e chi sono stato mi fa pensare alle cose in maniera seria.
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10 marzo – Dal 2014 meno cibo per i poveri
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12 febbario – Il gioco è una cosa seria (prima puntata)
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29 ottobre – L’iperattività si eredita?
22 ottobre – La droga non è un vizio. Una riflessione sul lavoro sulla tossicomania
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