Strage di Chiuso. Il Criminologo: “Vendetta inconscia”

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Enrico - MagniLECCO –  Enrico Magni, psicologo-psicoterapeuta, criminologo clinico, docente di Criminologia presso l’Université des Sciences de l’Homme Paris, Dipartimento italiano Padova e membro della Società italiana di Criminologia, in una pubblicazione del 2005 dal titolo “Il male di vivere” aveva approfondito la questione del disagio che porta all’infanticidio e al figlicidio. Proprio a lui, abbiamo chiesto di rispondere alle domande che tutti, a fronte della strage di Chiuso, si stanno ponendo: com’è possibile che tutto ciò sia accaduto e perchè? Come può una madre arrivare a tanto?

“Credo che per prima cosa dobbiamo mettere tra virgolette la parola ‘comprensione’ – esordisce Magni – casi simili non sono mai facili da analizzare e quindi comprendere. Detto questo, quanto successo lo possiamo ricondurre in prima battura al mito di Medea: la madre che uccide i suoi due figli, Mermero e Fere, per impedire al padre di avere una discendenza. Faccio questo parallelismo perchè a differenza di ciò che è accaduto per esempio ad Abbadia (vedi articolo), in questo caso la madre, come Medea, ha ucciso tutti i suoi figli, ordinando poi i cadaveri sul letto matrimoniale. In tutto questo, compreso quest’ultimo gesto molto simbolico, emergere un aspetto inconscio vendicativo della madre nei confronti del marito, il quale, da quanto ho potuto apprendere dalle cronache, si stava allontanando da lei. Tanto mi hai dato, tanto ti tolgo, in sintesi estrema è ciò che il gesto sta a significare; si tratta di un pluriomicidio che ha la dimensione della vendetta”.

Ma non è tutto, un secondo aspetto che secondo il criminologo Magni va preso in considerazione dal punto di vista psicopatologico è il “processo di derealizzazione che consistente – spiega – nella sensazione di percepire in maniera distorta il mondo esterno arrivando a compiere certi atti. Terzo aspetto, emerge il rapporto di completa dipendenza nei confronti della figura maschile, nel caso specifico del marito e, probabilmente, dal fatto che la donna non abbia mai avuto un piano di evoluzione e di indipendenza. Questa dimensione, al momento del distacco dal marito, l’ha obbligata a porsi la domanda sul futuro suo e dei suoi figli trovandosi sull’orlo di un abisso”.

Per Magni c’è però un altro aspetto che va preso in considerazione e che riguarda la nostra società.

“Di fronte a quanto è accaduto nessuno di noi si può tirare indietro perché c’è un vuoto sostanziale dei servizi di prevenzione del disagio sociale e psicologico all’interno dei microsistemi della società. C’è una carenza dal punto di vista pedagogico e psicologico conclamata. Questo da parte della scuola, delle istituzioni, ma non solo, insomma della società tutta. Servono politiche a favore della microquotidianità, bisogna tornare a lavorare partendo da qui con i professionisti che fanno il loro mestiere calati nella realtà e a contatto con la gente”.

Poi c’è il problema dell’immigrazione: “Non siamo per nulla attenti all’integrazione della relazioni sociali. Nonostante si creda che ci sia una vera e propria integrazione in realtà ci sono dei gruppi: noi, separati da loro. E su questo fronte mancano politiche di intermediazione sempre più urgenti. Non possiamo tirarci indietro”.