Metastasi: “protezioni e mazzette”, in aula parlano i testimoni

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Il Tribunale di Lecco

LECCO – Prosegue l’esame dei testimoni indicati dalla pubblica accusa nell’ambito del processo “Metastasi”: l’udienza di mercoledì ha visto sfilare davanti al collegio giudicante presieduto dal giudice Enrico Manzi e al pm Bruna Alberti alcuni dei personaggi che hanno avuto dei contatti più o meno diretti con la presunta organizzazione criminale facente capo a Mario Trovato.

L’influenza sul territorio: casi di protezione

In aula è stato ascoltato Simone Cavallaro, nel 2012 gestore, insieme al fratello, dell’Invidia Cafè di Carate Brianza. Per gli inquirenti, a dimostrare il radicamento dell’associazione di Trovato nel territorio lecchese e brianzolo, sarebbe l’episodio che ha visto Cavallaro richiedere l’aiuto di Mario Trovato per un problema con uno dei frequentatori del suo bar che puntualmente si presentava per chiedergli soldi.

“Veniva spesso al bar, a tutti gli orari, a volte eravamo già chiusi e lui entrava comunque forzando la cler. Mi chiedeva soldi. La situazione era diventata insostenibile – ha raccontato l’uomo in aula – così ho iniziato ad informarmi con amici per trovare una possibile soluzione. Ho pensato a Mario Trovato: ero amico del figlio, Rolando, e conoscevo la storia della sua famiglia, la vicenda di suo zio. Mi sembrava la persona giusta per intimidire qualcuno.” L’incontro tra Cavallaro e Trovato avviene alla Pizzeria 046: “Sono andato lì per mangiare e ho pensato che potevo dire a Mario del mio problema. Cosa che ho fatto e lui si è reso subito disponibile ad aiutarmi. Ha detto che avrebbe mandato dei suoi amici.”

Due gli uomini inviati da Trovato all’Invidia Cafè per garantire la protezione di Cavallaro e della sua attività: durante l’incontro con la Guardia di Finanza a seguito degli arresti dell’aprile 2014 Cavallaro riconoscerà, attraverso una foto comparsa sul Giornale di Lecco, come i due amici di Mario i soci Massimo Nasatti e Alessandro Nania, due dei dieci imputati finiti in manette a seguito delle indagini.

L’attività corruttiva

Diverse le attività corruttive condotte dal presunto sodalizio criminale. Rievocata in aula, attraverso i due testimoni Elena e Michele Invernizzi, nipoti di Antonello Redaelli, la vicenda relativa ad un tentativo di modifica del Pgt per rendere edificabile un terreno di cui i due fratelli erano proprietari. Una situazione, come dichiarato dai due testimoni, “ferma da vent’anni” fino alla telefonata di Redaelli che avrebbe detto ai nipoti di poter intervenire grazie all’aiuto di un amico, di cui però non fa il nome.

Ernesto Palermo
Ernesto Palermo

Le manovre di Redaelli, si scoprirà successivamente, prevedono il coinvolgimento di Ernesto Palermo, consigliere comunale di Lecco facente parte della V commissione urbanistica, che avrebbe dovuto ottenere la modifica del Piano di Governo del Territorio, rendendo il terreno dei fratelli Invernizzi edificabile. Il costo dell’operazione, confermato dai testimoni, prevedeva un anticipo di 30mila euro, seguito dal pagamento di altri 30mila “a cose fatte”.

Dopo un primo interessamento i fratelli però declinano l’offerta, nonostante le insistenze dello zio: “Non volevamo fare una cosa illegale” raccontano in aula. Della volontà dei due fratelli di procedere legalmente viene a sapere anche Redaelli, che in una telefonata intercettata dirà al nipote: “Ah, mi hanno detto che il vostro geometra in Comune sta spingendo ma non arriva al lume di un cazzo eh! (…) si, ma a me non mi interessa io l’opportunità l’avevo data peggio per lei si arrangia … ci farete pascolare le pecore cosa vuoi che ti dica.”

L’ultimo a deporre è stato quindi Giacomo Scaletta, ex gestore del Bar Rio a Valmadrera, l’uomo che per gli inquirenti avrebbe subito intimidazioni ed un tentativo di estorsione da parte di alcuni componenti della presunta organizzazione di Trovato col quale era in accordo di aprire una sala giochi a Eupilio.

Le vicende sono state smentite in aula dal testimone, che ha raccontato: “Avevo diversi bar a Valmadrera, tra i frequentatori c’era Antonello Redaelli col quale ho stretto un rapporto di amicizia ma mai di lavoro. Gli avevo raccontato della mia volontà di lasciare il bar e aprire una nuova attività, una sala giochi, e solo verbalmente avevamo pensato alla possibilità di essere soci, avevamo anche parlato delle quote da mettere” ha spiegato Scaletta, incalzato dalle domande del pm Bruna Alberti “poi la cosa è finita lì, i Barlassina, proprietari dell’immobile dove volevo aprire la sala giochi, sono entrati in società, gliel’ho detto e non se n’è più parlato.”

Negata da Scaletta la tesi dell’accusa di aver ricevuto minacce da Redaelli o da Mario Trovato, così come di aver dovuto pagare pizzi di protezione. Confermato invece il rapporto con Claudio Bongarzone, titolare della DBM Electronics, che aveva installato alcune macchinette da gioco nella Rio Slot di Eupilio (aperta nel 2012).

Il collegio giudicante tornerà in aula il prossimo 23 aprile dove verrà proseguito l’esame dei testi indicati dall’accusa.