Messner a Colico: “Nell’Alpinismo l’impossibile diventa possibile”

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Rainhold Messner

 

COLICO – Piazza Lago di Colico stracolma questa sera, venerdì, per l’appuntamento targato Cai Colico con la leggenda vivente dell’alpinismo Rainhold Messner, 74 anni, che ha presentato “Il fascino dell’impossibile”. 

Pochi fronzoli e nessun preambolo per l’altoatesino che ha subito affrontato il tema della serata ponendo una domanda: “Come mai l’impossibile può avere fascino?”. 

Piazza Lago a Colico stracolma

 

Da qui è iniziato il suo lungo monologo, poco più di un’ora e mezza, con il quale ha accompagnato il numeroso pubblico in un excursus della storia dell’Alpinismo, partendo da lontano, da quando la montagna, per alcune civiltà, era sacra e legata a doppio filo con la mitologia.

Il viaggio narrato è iniziato dal Tibet, dalla montagna sacra Kailash (6.638 m) che per centinaia e centinaia di anni non venne mai scalata, ma solo aggirata dai popoli che la adoravano perché ritenuta dimora degli dei. A supportare il racconto di Messner le immagini in 3D delle 13 montagne protagoniste della serata. “La quarta dimensione – ha aggiunto – è quella che noi umani mettiamo nella montagna: l’entusiasmo, l’esperienza, l’emozione… Quando la montagna e l’uomo si incontrano dentro di noi possono accadere grandi cose”.

Chiusa la parentesi mitologica tra uomo, montagna e dei, Messner ha compiuto un balzo in avanti arrivando alla seconda metà del 1700 periodo in cui nasce l’Alpinismo: “Da allora ogni generazione ha tentato di rendere possibile ciò che la generazione precedente riteneva impossibile. E’ una sfida che si rinnova di generazione in generazione e che prosegue”. Un “impossibile” che è motore dell’Alpinismo e fors’anche necessità.

La data esatta della nascita dell’Alpinismo moderno, come lo intendiamo oggi,  è quella del 1786, anno in cui viene scalata la prima vetta, quella del Monte Bianco.

“L’Alpinismo moderno nasce come alpinismo di conquista – ha sottolineato Messner – E i pionieri di allora sono per lo più scienziati e avventurieri”. Un altro esempio fu la conquista del Cervino (4478 m), problema alpinistico di estrema rilevanza che venne risolto nel 1865.

“Dal primo Alpinismo quello appunto di conquista, si passa ad un secondo Alpinismo che io definisco Alpinismo della difficoltà, dove si ricerca la via più difficile per raggiungere la cima. Cambia quindi l’approccio alla montagna, la cima passa in secondo piano, ora conta la difficoltà della via. Poi negli Anni ’60 cambia ancora l’orizzonte di senso e ci si inizia a porre la questione di ‘come’ si sale una via e una montagna“.

Intanto la sfida con l’impossibile prosegue: si aumentano le difficoltà sulle cime già scalate ma cercando anche di andare più in alto. Ed ecco la sfida agli 8 mila. Il primo ad assere scalato fu l’Annapurna (8.091 m) nel 1950 da una spedizione francese. “Dal 1950 al 1964 ci fu un’accelerazione e vennero conquistati tutti i quattordici 8mila presenti sulla Terra. Poi – ha proseguito Messner – si presentò un’altra sfida impossibile: l’ascesa ad un 8mila senza ossigeno”. Ed è qui che si varca la soglia di un altro tipo di Alpinismo: quello di rinuncia. “E’ la rinuncia verso la tecnologia – ha sottolineato Messner – e verso tutti gli aiuti che provengono dalla tecnica”.  Insomma, un’altra sfida impossibile.

Quella di scalare un 8mila senza ossigeno viene resa possibile nel 1978 proprio da Messner quando, insieme a Peter Habeler, conquista l’Everest senza l’ausilio di bombole spostando ancora più in alto l’asticella dell’impossibile. Due anni più tardi, nel 1980, ancora Messner quell’asticella la sposta di nuovo, riconquistando l’Everest (senza ossigeno) ma in solitaria.

Si arriva così ai giorni nostri dove l’Alpinismo è diventato uno sport dove “viene meno la dimensione dell’avventura”, un aspetto che Messner non critica e lo prende per quello che è: “un dato di fatto”.

Quindi sul grande schermo di piazza Lago sono passate in rassegna le sue conquiste più significative, come il difficoltoso primo VIII grado in libera al Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc – Sasso di Santa Croce –  (1968) e l’affascinante salita al K2 che Messner stesso ha definito “un’opera d’arte creata dalla natura”; ma la montagna a volte racconta anche di tragedie, come quella del 1970 al Nanga Parbat (8126 m) dove, dopo aver raggiunto la cima con il fratello Günther che lo aveva raggiunto, questi morì, durante la discesa travolto da una valanga. “A volte – ha spiegato Messner – Soprattutto verso le madri quello che facciamo è ingiusto”.

Quindi sul finale di serata ha posto l’accento sul momento della conquista: “In quelle dimensioni estreme non pensate vi sia la gioia di vetta, c’è invece la voglia di tornare a valle e raggiungere un nido umano”. Anche se da lassù ha poi aggiunto “nella solitudine e nella vastità di quei luoghi si riesce a vedere l’al di là, quello che è fuori dalla nostra portata”… quello che, restando a valle, è impossibile da vedere.