Confermato il rallentamento della crescita economica
I dati del secondo semestre del 2018
LECCO – I dati dell’Osservatorio Congiunturale sul secondo semestre 2018, realizzato dai Centro Studi di Confindustria Lecco e Sondrio e Unindustria Como, tracciano uno scenario con livelli in decelerazione rispetto a quelli dei primi sei mesi dell’anno. Le variazioni congiunturali sono di segno negativo, mentre sul versante tendenziale i dati indicano una situazione stabile.
Per gli indicatori associati a domanda, attività produttiva e fatturato si registra una decelerazione congiunturale media del 3,6% rispetto a quanto rilevato tra gennaio e giugno, con un dato che disattende le previsioni positive formulate in occasione della precedente edizione dell’Osservatorio, che indicava +1% per ordini e produzione e +2,3% per il fatturato.
Il raffronto con il semestre luglio-dicembre 2017 evidenzia una performance tendenziale eterogenea: i dati indicano stabilità per domanda e attività produttiva (in media +0,3%), mentre il fatturato è più dinamico (+3,4%).
Le previsioni per i primi sei mesi del 2019 sono nel segno della fiducia e si attestano mediamente a +2,3% per i tre indicatori.
La capacità produttiva mediamente impiegata dal campione nel corso del secondo semestre 2018 si attesta ad una quota del 75,2%, circa un punto percentuale al di sotto di quanto registrato per i sei mesi precedenti (76%).
L’appartenenza al settore merceologico fa segnare alcune differenze: il grado di utilizzo degli impianti è più elevato per le realtà metalmeccaniche (80,3%), mentre risulta meno intenso per realtà tessili (69,9%) e per quelle degli altri settori (73,2%). Non si rilevano invece particolari distinzioni considerando il campione a livello dimensionale.
Il contributo dell’attività non realizzata internamente ma gestita attraverso il ricorso alla subfornitura incide per un ulteriore 5,4% della produzione; l’outsourcing coinvolge prevalentemente soggetti operanti entro i confini nazionali (4,1%) e in misura minore realtà estere (1,3%).
L’export
Le realtà dei tre territori confermano la loro attitudine all’internazionalizzazione, con il 36% del proprio fatturato realizzato all’estero (era il 37,6% il dato per il primo semestre 2018). L’Europa assorbe i due terzi delle esportazioni (pari ad una quota del 24,4% del fatturato totale) e rappresenta il principale mercato di destinazione delle merci oltre confine. La struttura geografica del fatturato considera inoltre prioritari gli scambi diretti verso i BRICS (3%) e gli Stati Uniti (2,6%).
L’andamento del fatturato nei mesi finali del semestre, e in particolare tra ottobre e dicembre, fa segnare un andamento variegato. L’indicazione più diffusa è quella indicante la stabilità, sia a livello italiano (40%) sia per l’export (36,5%). Sul mercato domestico le indicazioni di crescita degli scambi (32,2%) superano quelle di diminuzione (27,8%), mentre per le vendite oltre confine è il giudizio di diminuzione (35,7%) ad incidere maggiormente rispetto a quello di crescita (27,8%).
Dopo gli aumenti rilevati per i primi sei mesi dell’anno, sul fronte dei costi relativi alle materie prime le imprese del campione registrano un ulteriore apprezzamento dei listini per entrambi gli orizzonti temporali d’analisi.
In media, la variazione tendenziale rispetto al semestre luglio-dicembre 2017 si attesta al +4,6%, mentre l’incremento congiunturale rispetto alla prima metà del 2018 è di +1,8%. Le materie prime incidono mediamente per il 37,4% sul totale dei costi aziendali.
I giudizi riguardanti i rapporti tra le imprese del campione e gli Istituti di credito fanno emergere un quadro di diffusa stabilità nel secondo semestre 2018, così come confermato da oltre otto imprese su dieci.
La congiuntura in rallentamento non sembra aver determinato risvolti sul versante dell’occupazione; per i due terzi (66,1%) del campione è infatti rilevabile un giudizio di stabilità dei livelli che risulta ulteriormente rafforzato dalle indicazioni di diminuzione (17,5%) e di crescita (16,4%) che tendono a bilanciarsi. Anche le aspettative per i primi sei mesi del 2019 indicano il permanere del quadro generale.
Confindustria: “Il lavoro, un’emergenza dimenticata”
“Anche se per il nostro territorio emerge ancora un quadro a tinte forse meno scure rispetto a quello nazionale tracciato dal Centro Studi Confindustria, ci sono diversi elementi di preoccupazione, soprattutto se letti in un’ottica di medio e lungo periodo – evidenzia il Presidente di Confindustria Lecco e Sondrio Lorenzo Riva -È vero infatti che secondo i dati che abbiamo rilevato la fiducia delle imprese non è al momento in calo, ma è altrettanto innegabile che in uno scenario deve il PIL è debole e le indicazioni di decrescita si intensificano, le strategie a sostegno della crescita sono totalmente assenti. I cantieri per le piccole e grandi opere sono ancora fermi e il lavoro continua ad essere la grande emergenza, dimenticata nei fatti, del Paese. Quota 100, contrariamente alle intenzioni dichiarate, non è una misura per i giovani e l’effetto sostituzione avrà un impatto molto limitato sull’occupazione delle nuove generazioni. Analogo discorso per il Reddito di cittadinanza, che in un momento di incertezza come questo non influirà positivamente nella dinamica domanda/offerta di lavoro”.
“Sul fronte dell’occupazione – evidenzia il Direttore Generale di Confindustria Lecco e Sondrio, Giulio Sirtori – a tutti questi elementi si aggiunge l’annosa questione del costo del lavoro che, nel confronto internazionale, ci vede registrare un cuneo molto elevato qualunque sia la retribuzione presa a riferimento. Secondo i dati elaborati dal Centro Studi Confindustria, nel caso di un lavoratore single con retribuzione media di 31.000 euro lordi l’anno, fatta 100 la retribuzione netta, le imposte pesano per il 32% e i contributi a carico del lavoratore per un altro 14%; i contributi carico datore pesano invece per il 61%. Sul netto che va al lavoratore si aggiunge, quindi, il 107% di tasse e contributi. Su retribuzioni più basse o più alte il cuneo varia di conseguenza; ad esempio, su un netto mensile di 780 euro si aggiunge il 74% ma su uno di 3.000 euro addirittura il 144%. In un contesto del genere com’è possibile che vengano rilanciati i consumi e la nostra economia?”.