LECCO – Settima puntata di DAY HOSPITAL, la rubrica che Lecco Notizie dedica al mondo della sanità e, in particolare, all’ospedale Manzoni di Lecco. Oggi conosciamo il dottor Francesco Luzzaro e il suo reparto, ossia quello di Microbiologia e Virologia. Con circa 170 mila prestazioni annue, il reparto si occupa quotidianamente di studiare i microrganismi dannosi per l’uomo, con l’intento di comprendere uando questi siano causa di malattie. Un mondo poco conosciuto, quello di Microbiologia e Virologia: al piano meno uno dell’ospedale lavora, infatti, un’equipe di circa una ventina di persone, che raramente entrano in contatto con i pazienti e che nel loro camice bianco studiano campioni biologici, colture di microrganismi e sieri e provano a ricercare nuove strategie per controllare e combattere quelle che vengono definite “resistenze batteriche” alle cure antibiotiche.
Il Dottor Luzzaro, professore a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia dell’Università degli Studi di Pavia, è dal 2008 direttore della Struttura Complessa di Microbiologia e Virologia del Manzoni e vanta più di 250 pubblicazioni, molte delle quali su riviste internazionali. È lui a spiegarci le attività svolte quotidianamente nel suo reparto.
“Il nostro lavoro – racconta – consiste nell’applicare in ambito clinico la microbiologia, ossia quella branca della biologia che studia gli organismi non visibili a occhio nudo (detti, appunto, microrganismi) come batteri, virus, funghi e protozoi. In ospedale si tratta, quindi, di analizzare il ruolo che i microrganismi hanno nel determinare le malattie dell’uomo”.
Qual è il vostro metodo di lavoro?
“L’attività del laboratorio di Microbiologia Clinica ha l’obiettivo di identificare i microrganismi che causano malattie infettive attraverso due approcci diversi, definiti metodi diretti e indiretti. Nel primo caso svolgiamo gli esami direttamente sui campioni mediante l’esame microscopico o attraverso l’esame colturale, ossia facendo moltiplicare i microrganismi in appositi terreni di coltura così da identificarli e studiarne la sensibilità agli antibiotici. Nel caso dei metodi indiretti si tratta, invece, di ricercare nel siero degli anticorpi specifici, che rivelano infezioni in corso o passate”.
Perché è importante questo studio?
“Un’adeguata diagnostica microbiologica permette di trattare le infezioni con una terapia mirata, utilizzando gli antibiotici più adeguati ed evitando quelli a largo spettro, che non attaccano solo i microrganismi causa di infezioni bensì tutta la popolazione microbica residente nel nostro corpo, inclusa ad esempio quella intestinale che svolge un ruolo importante nei processi digestivi. Per questo è importante evitare di utilizzare antibiotici non indicati, che causerebbero solo un vuoto biologico dannoso per l’organismo”.
Non solo attività volta a diagnosticare possibili infezioni in pazienti ospedalieri, ma anche a favore del territorio…
“Sulle 170 mila prestazioni annue, 100 mila sono attività di natura ambulatoriale, ossia svolte per il territorio. Questo significa che ci vengono recapitati campioni biologici dall’esterno, ad esempio urine o tamponi faringei, e noi analizziamo quali microrganismi sono presenti nei campioni e la loro sensibilità agli antibiotici.
Una parte importante del nostro lavoro è svolta, poi, in collaborazione con il Comitato Infezioni Ospedaliere (CIO), all’interno del quale sono presenti rappresentanti dei vari reparti che si occupano del problema infezioni. Il CIO ha in particolare la funzione di sorvegliare e controllare le resistenze batteriche in ospedale”.
Cosa si intende per resistenze batteriche?
“Si tratta della resistenza che i batteri hanno sviluppato nei confronti degli antibiotici. La situazione è in continua evoluzione: negli ultimi anni le resistenze batteriche sono aumentate notevolmente e non è semplice far fronte a questo problema per due motivi principali. Innanzitutto è da segnalare la velocità con cui i batteri imparano a combattere quegli antibiotici che prima funzionavano. D’altro canto lo sviluppo di nuovi farmaci antibiotici è molto lento, soprattutto per questioni di natura economica.
Il lavoro che svolgiamo è quindi quello di studiare i batteri e di provare a capire come questi possano resistere alla terapia antibiotica. Così facendo possiamo individuare il modo giusto per combatterli”.
Un caso di resistenza preoccupante?
“Sicuramente quella nei confronti dei carbapenemi, ossia gli unici farmaci che fino a non molto tempo fa riuscivano a combattere alcuni enterobatteri davvero dannosi. Oggi, purtroppo, questi batteri hanno sviluppato una notevole resistenza a questi antibiotici ed è fondamentale studiarne il motivo e proporre nuove strade da intraprendere”.
Accanto al tema delle resistenze agli antibiotici, ci sono altre tendenze da evidenziare?
“Sicuramente il fatto che la tubercolosi rappresenta una malattia riemergente, anche in Europa. I dati più recenti rivelano un’incidenza di 2,8 nuovi casi all’anno per 100 mila abitanti e i numeri più preoccupanti sono stati registrati nell’est Europa. È questo, quindi, un altro importante problema che deve essere studiato e analizzato”.
Quante persone compongono la sua equipe?
“Accanto a me lavorano quattro dirigenti, ossia i dottori Danilo Bolis, Beatrice Pini, Luigi Principe e Nicoletta Rusconi, una specializzanda in Microbiologia e Virologia dell’Università di Pavia (ossia la dottoressa Silvia Bracco), il Coordinatore Tecnico Sanitario di Laboratorio Biomedico Nicoletta Corbo e dodici tecnici di laboratorio”.
Da circa un anno il Manzoni si è dotato di una strumentazione innovativa per ridurre i tempi necessari per la diagnostica. Ce ne parla?
“Si tratta di uno strumento che usa la spettrometria di massa (una metodica conosciuta da decenni ma utilizzata con altri scopi), per ottenere l’identificazione a livello di specie batterica in pochi minuti (contro le 24-48 ore necessarie in precedenza). Il microrganismo viene colpito da un raggio laser che trasferisce la sua energia al composto in esame. Le proteine che compongono il microrganismo vengono quindi ionizzate, accelerate in uno spazio sottovuoto e infine raggiungono un rilevatore di ioni con tempi diversi a seconda della loro massa. Questo permette al rilevatore di costruire uno spettro con dei picchi (ognuno dei quali rappresenta una proteina), che rivela la natura del microrganismo in quanto ogni specie batterica presenta uno spettro specifico. Un grande passo avanti per fornire al clinico i risultati microbiologici più rapidamente e permettere, quindi, una più tempestiva e adeguata terapia delle infezioni”.