LECCO – E’ di qualche giorno fa la notizia dell’approvazione in Regione di una mozione urgente che apre la strada all’apertura della caccia al cinghiale anche in provincia di Lecco. Primo firmatario Antonello Formenti, consigliere regionale della Lega, che ha proposto la mozione in risposta ai disagi lamentati dagli agricoltori e dai residenti delle zone maggiormente colpite dagli ungulati.
Imbracciare i fucili per limitare la presenza di questi animali nei boschi del lecchese è un’ipotesi che non poteva non scatenare la reazione degli animalisti e la prima a schierarsi contro è la LAV di Lecco: “Per trovare soluzione ad un problema è necessario conoscerne le cause e verificarne gli effetti. La presenza dei cinghiali sul territorio nazionale non è una novità – spiegano dall’associazione – nel timore che il numero di animali cacciabili diminuisse irreversibilmente, negli anni ‘70 e ‘80 vennero organizzati numerosi ripopolamenti introducendo gli animali dai paesi dell’Est Europa: cinghiali molto più grossi e molto più prolifici di quelli italiani, quindi molto più interessanti per i cacciatori, che dal quel momento si garantirono carnieri sempre pieni e copiosi. Fino a che la cosa non sfuggì al controllo, creando la situazione che ora riscontriamo in tutto il Paese”.
L’approccio venatorio però, sottolinea la Lav, si sarebbe dimostrato un fallimento: “Uccidere gli animali per contenerne il numero non ha senso perché comporta inevitabili squilibri nella struttura sociale delle specie selvatiche, che saranno indotte a riprodursi di più allo scopo di recuperare la densità in equilibrio con le risorse fornite dal territorio. Da considerare inoltre il circolo vizioso che in alcuni casi si crea: gli agricoltori denunciano di aver subito danni dai cinghiali, le Regioni li rimborsano e impongono quote di abbattimento più elevate, i cacciatori uccidono ancora più cinghiali, aumentando così il guadagno economico derivante dalla vendita delle loro carni, ma creando lo squilibrio sopra ricordato”.
Per gli animalisti le istituzioni dovrebbero investire in prevenzione, attuando un controllo della fertilità di questi animali: “Negli USA esiste un contraccettivo usato da decenni per gestire le popIolazioni di grandi erbivori selvatici, che, con una sola iniezione, consentirebbe di sterilizzare un cinghiale per 3-5 anni”.
Dall’altra parte ci sono invece associazioni come la Coldiretti che da tempo insistono sui danni provocati dagli ungulati alle colture dei propri associati. Carlo Signorelli, presidente della Comunità Montana della Valsassina-Valvarrone-Val d’Esino e Riviera, nel suo ruolo di assessore provinciale con delega alla Caccia e alla Pesca, nella passata amministrazione guidata da Daniele Nava, era riuscito ad evitare l’apertura della caccia al cinghiale, nonostante le pressanti richieste.
“Sono sempre stato contrario perché all’epoca non vi erano concentrazioni tali di questi animali da giustificare una decisione simile – spiega – anche perché, il rischio più grosso, è la fraudolenta immissione di altri cinghiali sul territorio per alimentare la caccia. Da parte nostra abbiamo agito diversamente, con abbattimenti selettivi attraverso l’uso di trappole, non saremmo comunque stati contrari al coinvolgimento di cacciatori sotto il coordinamento della Polizia Provinciale”.
Per Signorelli “il problema esiste e va affrontato. Bisognerebbe però avere una stima dell’attuale presenza degli ungulati e valutare di conseguenza. L’esperienza di territori vicini al nostro insegna che l’apertura della caccia non ha un esito scontato, a Como la situazione non è affatto cambiata. In ogni caso non sappiamo ancora quali siano le intenzioni di Regione Lombardia – che da aprile ha assunto la delega in materia – se vorrà attuare un’azione di contenimento selettiva oppure indiscriminata. Siamo stati convocati il 21 settembre per discuterne”.
Riguardo ai danni provocati dai cinghiali e ai rimborsi, il presidente della Comunità Montana spiega che “spesso si parla di terreni demaniali, si tratta di danni più estetici che economici, quando invece sono campi ad essere danneggiati allora l’agricoltore viene rimborsato anche se, ricordo, i fondi non erano molti. Esiste anche un fattore paura che suscita questo animale, il quale generalmente non attacca l’uomo ma che può avere atteggiamenti aggressivi per difendere i propri cuccioli”.