Evans e Nur, la bella storia del campione e del profugo afgano

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Nur Mohammed Halimi davanti alla ciclofficina di "Casa Don Guanella" a Lecco.
Nur Mohammed Halimi davanti alla ciclofficina di “Casa Don Guanella” a Lecco.

LECCO – Una storia iniziata quattro anni fa dopo uno dei tanti viaggi della speranza che portano in Italia migliaia di migranti disposti anche a morire pur di trovare fuori dalla loro terra d’origine condizioni di vita dignitose. Una storia a lieto fine, a differenza di altre, con il sorriso del protagonista che ha preso il posto della disperazione e la gioia quello del dolore.

Sono più d’uno, a ben guardare, i protagonisti di questa vicenda, ma su tutti lui, Nur Mohammed Halimi, partito un giorno del 2010 dall’Afghanistan per raggiungere l’Europa e qui ricominciare a vivere. E appunto a sperare.

Abitava con la famiglia a Mazar-i Sharif, la quarta maggiore città afgana nel Nord-est del Paese, e nel 2010 Nur non aveva che 16 anni. Ma dentro una gran voglia di fuggire dai conflitti che insanguinavano la sua terra.

Così quattro anni fa ecco la decisione di partire. Ad attenderlo c’era però un viaggio destinato a durare ben tre mesi, dapprima a bordo di un camion (e per lunghi tratti a piedi) fino al confine con l’Iran, poi da lì in Turchia dopo altre interminabili ore di cammino e nel Paese della Mezzaluna la prima sosta obbligata di un paio di settimane.

Quindi l’imbarco insieme a una trentina di migranti e la loro “cattura” ad opera della Polizia greca, che trattenne Nur e altri suoi compagni per venti giorni. Poi per sette di loro (e tra questi quel giovane afgano che in patria aveva lasciato i genitori, tre fratelli e due sorelle) un allucinante viaggio nascosti dentro un camion, l’arrivo in Italia e l’affidamento alla Questura, che decide il destino di Nur: la “Casa Don Guanella” di Lecco, pronta come sempre a intercettare situazioni particolarmente critiche e ad accogliere storie intrise di sofferenza e appunto ragazzi a rischio di esclusione sociale, in uno scenario dominato dalla precarietà quando non addirittura dal rischio reale di non affacciarsi neppure alla vita adulta.

Nur con il campione australiano Cadel Evans.
Nur con il campione australiano Cadel Evans.

Per Nur in riva al Lario comincia così un’altra vita. Con don Agostino Frasson, il responsabile della Casa, con gli operatori e con i volontari della comunità educativa. E si fa strada, dentro quel ragazzo arrivato da lontano con il suo bagaglio di speranze e illusioni, la passione per la bicicletta, coltivata in quella che negli anni è diventata un po’ il “regno” dello sport del pedale, appunto “Casa Don Guanella”, che uno dopo l’altro ha ospitato grandi campioni del ciclismo, ultimo in ordine di tempo l’australiano Cadel Evans, vincitore del Mondiale su strada nel 2009 e del Tour de France nel 2011.

E’ il febbraio di quest’anno quando Evans raggiunge la struttura lecchese di via Amendola per una cena di solidarietà a favore del progetto “Cascina Don Guanella”. Don Agostino parla al campione di Nur, gli racconta la sua storia di profugo, gli spiega che a lui è affidata la gestione della ciclofficina della Casa, intitolata a Ugo Balatti e inaugurata nel 2012 da Alessandro Ballan, e che il suo sogno sarebbe vivere un’esperienza con i meccanici della sua squadra, la BMC Racing Team.

“Cadel ha subito fatto suo il sogno di Nur – spiega il direttore della comunità educativa – e nei giorni immediatamente successivi ne ha parlato a Fabio Baldato, ex corridore professionista, suo attuale direttore sportivo. La vigilia di Pasqua Nur è stato invitato a raggiungere a Torbole la fortissima squadra statunitense, in ritiro in quella località sul Garda in vista della prima tappa del Giro del Trentino”.

Il giovane afgano, oggi ventenne, è rimasto fino a martedì 22 con Evans, i suoi compagni di squadra e i meccanici del team, ha assistito agli allenamenti e ha tra l’altro seguito sull’ammiraglia con Baldato la prima tappa della corsa, la cronometro a squadre da Riva del Garda ad Arco, vinta proprio dalla BMC e che è valsa a Daniel Oss la prima maglia ciclamino.

“Sono felice di aver vissuto quell’esperienza – racconta Nur – anche perché la sera di Pasqua, nell’albergo scelto per il ritiro dei corridori della BMC, Evans ha voluto che io raccontassi ai suoi compagni di squadra la mia storia. Alla fine della prima tappa, poi, sono salito con i corridori sul palco delle premiazioni per la foto di gruppo. E’ stata una bellissima emozione e poi non mi hanno risparmiato neppure il “bagno” di spumante…”.

Il giovane afgano posa con la squadra della BMC Racing Team di Evans.
Il giovane afgano posa con la squadra della BMC Racing Team di Evans.

La sera del 22 Nur – che ha già alle spalle esperienze lavorative in due ciclofficine di Oggiono e Poggiridenti e che attualmente sta svolgendo un tirocinio presso l’officina Pozzi di Monguzzo, che lui raggiunge ogni giorno in bicicletta – è tornato a Lecco e venerdì 25 aprile l’ultima tappa, che prevedeva l’ascesa al Monte Bondone, ha decretato Cadel Evans (che si era aggiudicato anche la terza frazione della corsa) vincitore del Giro del Trentino, nel cui prestigioso albo d’oro non figurava prima di quest’anno nessun ciclista australiano.

Nur con Daniel Oss, prima maglia ciclamino al Giro del Trentino vinto da Evans.
Nur con Daniel Oss, prima maglia ciclamino al Giro del Trentino vinto da Evans.

Alla vigilia della prima tappa, tra l’altro, Nur aveva donato a tutti i corridori, ai tecnici e ai meccanici della BMC una piccola croce in legno realizzata dai ragazzi della “Casa Don Guanella” e alla fine della crono a squadre Baldato ha avvicinato il giovane afgano per dirgli simpaticamente che quel suo gesto aveva portato fortuna al team.

La scelta di Cadel Evans e della BMC di ospitare Nur in occasione del Giro del Trentino è valsa alla squadra un riconoscimento nel segno del fair play. Ad assegnarlo è stato Giacomo Santini, presidente del Gs Alto Garda e alla guida del Panathlon International.

Nur Mohammed può intanto continuare a cullare il sogno di fare un giorno il meccanico ciclista di professione. E chissà che della storia del campionissimo di ciclismo e del profugo afgano non si possa scrivere in un prossimo futuro un’altra bella pagina.