Metastasi, la difesa: “Trovato non è un boss mafioso”

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LECCO – Si è aperta e si è conclusa con delle citazioni e la richiesta di assoluzione dei suoi assistiti “perché il fatto non sussiste” la lunga requisitoria dell’avvocato penalista Marcello Perillo, difensore di Mario Trovato e di altri sei imputati nell’ambito del processo Metastasi, la cui sentenza di primo grado, oramai, è sempre più vicina.

Con le conclusioni rassegnate da Perillo, la palla passerà un’ultima volta al Pubblico Ministero Bruna Albertini per le repliche dopo di che, il prossimo martedì 1° marzo, il collegio giudicante composto dal presidente Enrico Manzi e i giudici a latere Salvatore Catalano e Maria Chiara Arrighi si riunirà per prendere la propria decisione e dare la tanto attesa sentenza.

L’udienza di martedì ha visto discutere gli avvocati difensori dei cinque imputati tutt’oggi detenuti, per gli inquirenti i veri e propri sodali della presunta organizzazione criminale di stampo mafioso: Antonino Romeo e Massimo Nasatti, difesi dall’avvocato Federica Scappaticci, Saverio Lilliu, difeso dall’avvocato Vito Zotti, Antonello Redaelli e Mario Trovato, assistiti da Marcello Perillo.

Marcello Perillo
L’avvocato Marcello Perillo

Attesa l’arringa di quest’ultimo, cominciata poco dopo le 11 di martedì mattino e terminata alle cinque di pomeriggio: una lunga e articolata requisitoria, giustificata dalle numerose posizioni da difendere all’interno dei due filoni del procedimento penale (due in quello principale, Antonello Redaelli e Mario Trovato, e cinque nel secondario sul riciclaggio e le intestazioni fittizie, ovvero i quattro figli di Mario Trovato e la convivente), per le quali il penalista lecchese ha richiesto rispettivamente l’assoluzione e la prescrizione di reato.

“L’indagine Metastasi aveva come obiettivo i legami tra mafia e politica” – Non senza brillanti ed ironiche uscite che più volte hanno strappato un sorriso non solo al pubblico presente e agli imputati ma anche al collegio giudicante, il legale è così partito dall’origine dell’indagine “Metastasi”, contrariando quanto sostenuto dal Pubblico Ministero durante la sua altrettanto complessa requisitoria: “L’operazione “Metastasi” non è una coda di “Crimine Infinito” – ha esordito il penalista – questa è una bugia. Le indagini, ci è stato detto, partono da Francesco Sorrentino, già noto a questo Tribunale per altri motivi, e avevano come obiettivo i legami tra mafia e politica nel lecchese. Dopo tre anni di indagine però si è trovato poco niente, l’operazione si scioglie lentamente e il pm titolare del fascicolo non se la sente di buttare via tutto il lavoro fatto e i soldi spesi per le intercettazioni: per non fare finire in niente le indagini serviva una persona, chi era più comodo di Mario Trovato, fratello del boss della più grande e importante cosca mafiosa della ‘Ndrangheta del Nord Italia? Era lì, più facile di così” ha ironizzato Perillo, trattando subito la posizione più delicata, quella di Mario Trovato, per l’accusa il boss del Locale malavitoso lecchese.

 

Prefettura Lecco

 

A non convincere il penalista della serietà delle indagini sono diversi elementi passati in rassegna: dai numeri, 108 persone attenzionate, 57 schede preparate e solo 10 imputati, “ridicoli” a detta dell’avvocato se paragonati al numero degli imputati di maxi operazioni quali furono Wall Strett, Oversize e Crimine Infinito, ai contenuti, costituiti per il 97% da intercettazioni telefoniche, per l’avvocato “non una testimonianza, ma dei racconti di persone che parlano e non sanno di essere intercettate, spesso faziosamente interpretati dagli operatori”, alle tempistiche: “Per quanto emerso sembra che mentre i processi nati dalle tre grandi operazioni contro la mafia che interessarono il lecchese stavano per concludersi il signor Mario Trovato si adoperasse per creare un nuovo Locale, incurante del fatto che tra gli altri anche suo figlio Giacomo era finito in galera per associazione a delinquere a stampo mafioso”. Una circostanza improbabile per il penalista, che ha ricordato come nella nota sentenza di Oversize, che tratteggia l’associazione mafiosa dal 1992, anno dell’arresto di Franco Coco, la figura di Mario Trovato non compaia, neanche come indagato.

“Mi permetto di dire – ha aggiunto l’avvocato – che è una vergogna che tutte le persone interrogate siano state sentite ad arresti avvenuti, quando la prima Cnr (comunicazione di notizia di reato, ndr) è del maggio 2013. Perché questi signori non sono stati sentiti anche durante le indagini, perché non richiamati nel dibattimento? Forse – ha chiosato Perillo – perché si aveva il timore di sciogliere ulteriormente un’indagine partita bene e finita male”.

L’assenza di elementi che comprovano mafiosità – “Ho fatto davvero fatica a trovare qualcosa di utile – ha detto Perillo – 8.115 pagine di intercettazioni, le ho lette tutte e non posso che ribadire la faziosità con cui sono state interpretate, anche in quest’Aula, dal Colonnello Crisci e dal Maresciallo Grassi, primi testimoni portati dalla pubblica accusa che in più di un’occasione hanno dimostrato di non avere conoscenza della materia. Sappiamo che la criminalità organizzata mafiosa ha una seria peculiarità, soprattutto questo vale per la ‘Ndrangheta. Riti di affiliazione, battesimi, doti, sanzioni, patti di sangue non sono cose superate, anzi. Nelle intercettazioni non si parla mai di queste cose e non ci sono nemmeno prove evidenti che siano avvenute. Le affermazioni di Palermo su battesimi ricevuti dai Mancuso? Deliranti, non sa nemmeno i nomi dei sodali delle cosche mafiose lombarde”.

Ernesto Palermo
Ernesto Palermo

Palermo, una figura non attendibile “sconnessa dalla realtà” – Come altri sui colleghi difensori anche l’avvocato Perillo si è soffermato sulla figura dell’ex consigliere comunale in quota Pd, indicandola come non attendibile: “Abbiamo oramai capito chi era Ernesto Palermo, una persona sopra le righe, da pesare bene. Va pesato anche e soprattutto quanto dice” ha detto il penalista, portando come esempio i racconti intercettati tra Palermo e la figlia quattordicenne, in cui l’insegnante galbiatese parlava della sua importanza, “a me tutti mi rispettano, anche Franco (Coco, ndr)”, “papà è il numero uno, ero una testa calda a Cosenza, c’avevo sotto venticinque ragazzi” e altre “palermate”, tra cui l’incontro, ancora ragazzino, con il boss Franco Coco Trovato sulle scale dell’Orsa Maggiore, che addirittura lo avrebbe elogiato per il suo coraggio nello stargli di fronte senza avere paura. Racconti pretenziosi ed improbabili, provenienti da un soggetto “completamente dissociato dalla realtà” come ha più volte ripetuto Perillo, spezzando così una lancia in favore di Antonello Redaelli, altro suo assistito, e dell’ex sindaco di Valmadrera Marco Rusconi, vittime come tanti altri dell’irruenza e problematicità di Palermo. “Ogni azione di Palermo era volta ad un unico obiettivo – ha concluso Perillo – fare soldi, perché era un ludopatico squattrinato e per avere denaro in tasca diceva di tutto, se non che a lungo andare anche chi gli stava vicino inizia a non prenderlo più sul serio. Vogliamo veramente prendere sul serio tutto quello che dice questo signore?” ha chiesto il legale.

Trovato, il boss senza autorità né soldi – Che Mario Trovato non possa essere un boss mafioso per il penalista è dimostrato anche dal modo in cui i suoi supposti sodali parlavano di lui: ricordato così il soprannome dato a Mario, Cipollino, “improbabile per un boss, no?” ha detto il legale, o le frasi di Redaelli a Palermo, su Mario: “La prima volta gliela fai passare, la seconda prendo un tavolino e glielo spacco sulla testa!”. “Cioè, in Wall Street i soggetti che sgarravano venivano incaprettati per aver rubato 30 grammi di cocaina all’associazione, nelle intercettazioni di mafia, quelle vere, del boss non si parla mai perché i sodali hanno paura. Qua abbiamo i sodali che addirittura parlano di spaccare un tavolino in testa al boss, o si rivolgono a lui dicendogli “stai calmo, gioia”… mi sembra davvero pretenzioso” ha detto Perillo rileggendo alcune intercettazioni tra Redaelli, Palermo e Trovato.

 

La pizzeria 046
La pizzeria 046

 

Lo stesso stile di vita di Trovato per il suo avvocato comprova l’estraneità ad associazioni mafiose: “Siamo di fronte ad un individuo che lavora come dipendente della pizzeria dei figli, vive in un appartamento di 50 metri quadri a Ballabio, ha una macchina usata comprata dalla convivente. Ricordo ben altri tenori di vita in processi di mafia quali Wall Street, qua non c’è neanche un giro di affari definibile tale” ha detto Perillo, ricordando quindi come la supposta attività illecita dell’associazione di Mario Trovato derivante dalla slot machine della Dbm sia totalmente lecita sotto tutti i punti di vista. Le stesse cene contestate dall’accusa come ritrovi dei sodali per Perillo sono “semplici incontri tra amici. Le riunioni mafiose si tengono in luoghi appartati – ha quindi detto l’avvocato – e non vi partecipano esterni. Qui abbiamo nove incontri registrati, ad orari normalissimi e nella pizzeria, dove c’erano persone che non sono nemmeno state iscritte al registro degli indagati. Tutti seduti al tavolo a mangiare e parlare, con a 4 metri la famiglia col bambino. Cosa c’è di mafioso in questo? Anche in questo caso le intercettazioni sono state interpretate liberamente e ai fini dell’indagine dagli operatori”.

Smontati uno per uno gli episodi di intimidazione che avrebbero visto protagonisti Trovato e i suoi uomini, il più lampante quello dell’Old Wild West dietro cui l’accusa ha ravvisato un monito dell’organizzazione criminale per sollecitare il pagamento del pizzo: “Le indagini su questo episodio avevano portato al sequestro, nel gennaio 2012, di una pistola il cui calibro e modello corrispondevano con quella che aveva sparato i colpi contro la vetrina del ristorante. La teneva un albanese di Abbadia Lariana… e perché non lo hanno indagato né intercettato? E’ una vergogna” ha tuonato l’avvocato.

Gli altri imputati – Per ultimo il legale ha trattato il filone bis del procedimento, che vede imputati i figli di Trovato e la compagna per intestazione fittizia e riciclaggio di denaro con l’aggravante di agevolare l’associazione mafiosa. Per quanto riguarda la Pizzeria 046 l’avvocato ha richiesto la prescrizione di reato, essendo scaduto il tempo di prescrizione previsto dalla costituzione della società alla contestazione del reato. Il legale si è quindi definito “imbarazzato” nel dover difendere figli e convivente dall’accusa di essere prestanome per attività “dimostratesi regolari sotto tutti i punti di vista”.

“L’indagine è partita bene per poi implodere invece che esplodere – ha dichiarato in conclusione Perillo – so che pm e operanti hanno lavorato al meglio sul materiale a disposizione, ma io da difensore posso solo augurarmi che questo Tribunale faccia la scelta più ragionevole”.

Si torna in Aula domani mattino, per le repliche del pm, le ultime parole prima della sentenza di martedì prossimo.